EDITORIALE
Comunità senza prezzo
di Roberto Rossini (presidente provinciale ACLI)
Negli anni in cui nacque, tra i Sessanta e i Settanta, non godeva di quell'aura che solo gli anni successivi gli avrebbero attribuito. D'altronde se l'idea è cambiare il mondo, allora il volontario non rappresenta esattamente il militante desiderato in quegli anni di protesta. Anzi, quella specie di boy scout sembrava la protesi di un establishment che appariva in agonia, capace al massimo di curare le conseguenze sociali di processi che – invece – andrebbero colpiti nelle loro cause: perchè è su quelle che s'interviene, è sul dato politico, non su quello sociale che rappresenta solo la meccanica conseguenza di un'ingiustizia strutturale.
E invece. Tutto passato. Con la crisi della politica, che si è posta obiettivi al di sopra delle proprie capacità e pure della propria moralità, è entrata in crisi anche la militanza. Calate le acque della politica, è emersa dal fondo la forza di migliaia di giovani volontari che trovavano in questo impegno un senso civico, ormai smarrito in un linguaggio consunto e astratto che formalizzava un ragionamento errato: giusto intervenire sulle cause, ma il sociale non è un'appendice del politico. Il “sociale”, come mondo, nasce proprio a partire dagli anni Sessanta, quando il mito e la cultura dello sviluppo evidenziano che non tutto è miracoloso, che lo sviluppo elimina alcune diseguaglianze e ne crea di nuove.
Se all'inizio il sociale si limita ad aiutare gli individui rimasti indietro, presto si arriva a capire che il sociale va costruito, che il lavoro sociale va coniugato alla comunità. Un po' come pensava (il tanto celebrato, quest'anno) Adriano Olivetti: costruire comunità sane. Il volontariato ha puntellato quest'esperienze, ha ricreato lo slancio missionario, ha dato spessore alla cultura dell'alterità, del dono, della gratuità. Tutte virtù senza le quali la vita, per quanto ricca, si priva di salvezza. Di fronte alla malsana idea di uno Stato che cura tutto, dalla culla alla tomba, ecco la cultura di un coinvolgimento attivo, di un protagonismo che crea tessuto sociale. Il volontariato ha contrastato anche una seconda e più pericolosa idea: quella per cui tutto è profitto, tornaconto, contabilità. Il volontariato non conta i gesti del dare e dell'avere: è questo il suo valore, un valore senza prezzo. Anche la nostra associazione deve moltissimo al volontariato.
Il volontariato, o come si dice oggi il lavoro volontario, pare meno scelto dai giovani dei nostri anni. Tra le cause vi è il profondo cambiamento sociale, perchè la crisi spinge i giovani alla ricerca di forme di lavoro retribuito (che poi, con le retribuzioni di oggi sembra volontariato). L'altruismo e il senso civico sono ancora motivazioni forti: ma si cerca anche una qualche forma di retribuzione, dove la gratuità si accompagna alla sostenibilità.
Eppure il volontariato puro, quello che non ha bisogno di soldi, è ancora una forza che esprime moralità e trasparenza. E` anche la dimostrazione di quanto sia (ormai) errato usare il termine privato. Di cosa ci si sta privando, esattamente? Molte forme di privato sociale dimostrano oggi un senso pubblico maggiore di quello espresso da agenzie che lo sono di diritto. Molte cose pubbliche appaiono ostaggio di corporazioni e vincoli che riducono lo slancio per ridursi a burocrazie. Il Terzo settore è allora una buona strada per infrastrutturare un sociale più necessario e più autonomo. Il volontariato è parte di questo grande processo.
In questo numero di Battaglie Sociali:
Filo Rosso
Se i volontari finiscono (di Flavia Bolis, Franco Gheza)
Bel paese
Fare le Acli nel 2014 (di Stefania Romano)
Ucraina (di Roberto Toninelli)
Chiave a stella
Dignità è lavoro (di Fabrizio Molteni)
Filo soffiato
Stiamo troppo bene (di Maria Buizza)
Cooltura
La pistola sotto il banco (di Erri Diva)
On tè road
L'amore ai tempi di (di Marco Stizioli)
Annales
Battista Fenaroli (di Salvatore Del Vecchio)
e molto altro...