Rigenerare lavoro e comunità per uscire migliori dalla crisi
di Pierangelo Milesi (presidente provinciale Acli)
“Non basta deplorare e denunciare le brutture del mondo. Non basta neppure, per la nostra epoca disincantata, parlare di giustizia, di doveri, di bene comune, di programmi pastorali, di esigenze evangeliche. Bisogna parlarne con un cuore carico di amore compassionevole, facendo esperienza di quella carità che dona con gioia e suscita entusiasmo; bisogna irradiare la bellezza di ciò che è vero e giusto nella vita, perché solo questa bellezza rapisce veramente i cuori e li rivolge a Dio”. Così diceva il cardinal Martini nella sua Lettera pastorale del 1999/2000 dal titolo emblematico “Quale bellezza salverà il mondo”.
La bellezza per noi non è una questione astratta, ma è una parola che si esplicita come espressione del vero, del buono e del giusto ed è con questi occhiali che vogliamo guardare alla comunità e al lavoro e provare ad accompagnare un cambiamento che la pandemia ha determinato e continuerà a determinare nel futuro. Le nuove dinamiche occupazionali, le trasformazioni nella composizione del mercato, la richiesta di profili professionali nuovi stanno ridisegnando la domanda di lavoro, ma allo stesso tempo c’è estremo bisogno di individuare formule capaci di rigenerare luoghi e comunità, in particolare quelle più periferiche, facendo emergere potenziali inespressi, nella consapevolezza che solo crescendo tutti insieme si cresce davvero. Se si diffondono nuovi modi di vivere e si trasformano i luoghi per l’interesse comune, un territorio può riuscire a contenere le disuguaglianze e ad assicurare in modo diffuso una buona qualità della vita alle persone che vi abitano.
La pandemia ha prodotto una grave crisi su più fronti; ci ha, tuttavia, messi drammaticamente di fronte alla scelta delle cose fondamentali, all’essenza intima e profonda della vita, alla sua radicale bellezza. Ed è la bellezza nell’agire che dovremmo perseguire per partecipare al bene. Il primo campo di azione sono le nostre comunità, specialmente quelle più insidiate dalla bruttezza e dall’abbandono, dove il disagio sociale si esprime a partire da progetti urbanistici errati. Nelle tante periferie della nostra società c’è estremo bisogno di individuare formule capaci di rigenerare luoghi e comunità ai margini. Ricostruire le periferie non vuol dire dedicarsi solo agli edifici e alle strade, vuol dire soprattutto ricucire le relazioni. Creare spazi di bellezza e di incontro a partire dagli usi sociali degli spazi periferici e dalle esigenze emergenti dalle comunità che in tali spazi abitano è il primo passo per un nuovo protagonismo sociale nella gestione di beni collettivi e nello sviluppo di servizi innovativi.
La bellezza rappresenta una stella polare anche per immaginare nuovi luoghi e nuove formule di lavoro, oltre che per rielaborare le agende di sviluppo urbano e territoriale. Il lavoro, frantumato, precario, spogliato delle sue caratteristiche distintive, quasi disincarnato è ancora e sempre un’esperienza umana fondamentale, il cui significato etico sta alla base della sua valorizzazione sul piano economico, della sua regolazione politica, delle modalità di configurare l’organizzazione lavorativa (e non viceversa, pena continuare a morire di lavoro!).
Di fronte al lavoro svalutato e degradato vogliamo testimoniare che anche in questo ambito è possibile pensare e realizzare il bello, non solo nei prodotti, ma nei processi. Che è possibile creare un mondo del lavoro fondato su relazioni giuste. Guardare al lavoro dalla visuale della bellezza significa rimettere al centro i talenti e la dignità delle persone, promuovere il lavoro di squadra dove i lavoratori sono messi in collaborazione e non in competizione tra loro, consentire ai mestieri di esprimere la loro intima capacità generativa, agevolare la trasmissione dei saperi e la possibilità del nuovo, favorire l’incontro tra le generazioni e la capacità di progettare la vita personale e sociale, socializzare alla legalità, alla partecipazione, alla sobrietà. Nel lavoro infatti risiede la profonda propensione umana alla socialità e il bene della persona, quello dell’impresa e quello comune sono uniti da un’unica domanda di significato che muove tutto. La domanda di bellezza.
La bellezza. Nonostante tutto
di Daniela Del Ciello
Siamo arrivati in ritardo, ma eccoci. Questa estate, la seconda di epoca Covid, la sesta da quando occupo questa pagina, è stata quella in cui abbiamo dovuto dare il nostro saluto al nostro direttore Angelo Onger.
Non eravamo pronti, non lo si è mai, ma di certo noi non lo eravamo. Stefania Romano a pagina 13 racconterà alcuni dei motivi per cui ci manca e ci mancherà, nonostante tutta la ricchezza di pensiero che ci ha lasciato in vita, su queste pagine, nelle nostre riunioni e persino nelle comunicazioni private.
Siamo arrivati in ritardo all’appuntamento con i nostri lettori, perchè senza il direttore la barca rischia la deriva.
Abbiamo cercato tra gli amici qualcuno che avesse lo stesso spirito, critico ma gentile, di Angelo. L’abbiamo trovato.
Si chiama Paolo Ferrari ed è, come dicevo, un amico con cui condividiamo valori e stile.
Sarà lui ad aiutarci a proseguire nel nostro lavoro (lavoro volontario) di dare voce all’associazione. Una voce organizzata e, quando riesce, pungente. Una voce che cerca di non essere “contro” ma sempre “a favore”, sempre costruttiva.
Crediamo che la “battaglia sociale” di cui c’è bisogno nell’epoca degli haters, delle “bestie” social, per quanto ferite, nell’epoca delle emoticon che ridono sotto
le disgrazie altrui, sia quella di evidenziare sempre la speranza, di provare a costruire e non distruggere, la battaglia del perdono e quella della bellezza.
Lo diciamo spesso, il nostro ruolo non avrebbe senso senza speranza. Potremmo chiudere i battenti.
E allora eccoci, siamo in ritardo, ma eccoci.
Vi dedichiamo queste pagine cercando di parlare di bellezza, nonostante tutto.
In questo numero di Battaglie Sociali
Filo Rosso
La forza trasformativa del bello (a cura della Redazione)
Il paradosso del lavoro bello (di Fabrizio Molteni)
Una città forte, bella e solidale (di Maurilio Lovatti)
I segni dei tempi
Dal Conte-Casalino al Draghi-Draghi (di Paolo Ferrari)
Fatti non foste
Rischio ambientale e scelte personali (di Stefano Dioni)
Librarti
di Michele Scalvenzi e Beppe Pasini
Annales
di Salvatore Del Vecchio
Dirigismo e videogiochi
di Fabio Scozzesi
Sportello Lavoro
di Fabrizia Reali
Cura dell'anziano e domiciliarità
di Luciano Pendoli
Dio lavora!
di mons. Alfredo Scaratti
e molto altro...