#EDITORIAL
Viene il tempo della fraternità
di Pierangelo Milesi (presidente provinciale Acli)
La Raccomandazione 2006/962/CE dell’Unione Europea definisce le otto competenze chiave per l’apprendimento permanente e tra queste c’è “Imparare ad imparare”: rappresenta una competenza per la vita e un presupposto necessario per esercitare il diritto di cittadinanza.
Così, mentre si sono riaperte le scuole tra alcune sterili polemiche e altrettanti però oggettivi inaccettabili ritardi, proviamo a capire se possiamo, tutti insieme, imparare ad imparare, per evitare di aver vissuto invano la drammatica esperienza della pandemia, con la quale purtroppo dobbiamo ancora fare i conti sia sotto il profilo della prevenzione e cura sanitaria, sia dal punto di vista economico e sociale. Perchè, come ha detto papa Francesco, “peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”. Per non farlo serve prima di tutto ripensare le strade finora percorse e sondarne di nuove possibili.
La direzione ci viene offerta dall’ultima sapiente e splendida Lettera enciclica di Papa Francesco, Fratelli tutti. L’aveva già in qualche modo anticipata nel suo Discorso durante il “momento straordinario di preghiera in tempo di pandemia” il 27 marzo scorso, quando in una Piazza San Pietro piena di un vuoto plumbeo, sotto una pioggia battente, così si rivolgeva al mondo intero: “Siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato”. Una lettura sociale dell’epidemia, che costringe tutti a riscoprire “quella benedetta appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”. In quell’ormai famoso “Siamo tutti sulla stessa barca”, papa Francesco descriveva la situazione al tempo del coronavirus e allo stesso tempo indicava la via di uscita: riscoprire la fraternità e la solidarietà fra tutti gli uomini e le donne. “Siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme...”, “...ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme”, aprendo “nuove forme di ospitalità, di fraternità e di solidarietà”.
Il modello di sviluppo concepito unicamente come crescita può e deve essere messo in discussione, perchè ha generato e genera continue crescenti disuguaglianze. Gli scenari sociali ed economici futuri sono preoccupanti.
In questi mesi, abbiamo detto e ripetuto più volte che serve un nuovo inizio. Non si tratta di fare cose nuove come se ripartissimo da zero, ma di fare nuove le cose. Riorientare la società, l’economia, la politica perchè non dimentichino di custodire l’umano e chi è più fragile.
Nell’enciclica Fratelli tutti c’è il desiderio di condividere “un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole” (n. 6), un sogno da realizzare insieme “come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!” (n. 8). Quella del sogno è una categoria molto cara a papa Francesco. Non si tratta certo dell’evasione che fa perdere il contatto con la realtà della vita quotidiana, ma della visione capace di orientare, di indicare la direzione di marcia, di spingere al cambiamento.
Alla radice di questa visione resta quell’Amore che le acliste e gli aclisti ogni giorno si impegnano a tradurre in azione sociale in molteplici forme di impegno e dedizione a favore dello sviluppo delle comunità.
Animare le comunità, rigenerando relazioni buone fra le persone è la sfida che le Acli bresciane raccolgono nuovamente, all’indomani del XXVI Congresso, per rideclinare in pensiero sociale e concretezza di opere la loro fedeltà ai lavoratori, alla democrazia e alla Chiesa. Per realizzare il grande sogno di quella fraternità che, tra le pieghe e le piaghe di questo mondo, noi già intravediamo.
Se vuoi cambiare il mondo...
di Daniela Del Ciello
Di cosa parliamo quando diciamo “Generazione 2030” e perchè abbiamo deciso di dedicare a questo un interno numero di “Battaglie Sociali”, in piena pandemia?
Il 2030 corrisponde all’anno entro il quale i paesi membri dell’ONU intendono raggiungere i 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile. Obiettivi che, ciascuno singolarmente, meriterebbero un numero di “Battaglie Sociali”. Vanno dall’obiettivo “Povertà Zero” che non a caso è il numero 1, a quello sull’uguaglianza di genere (il 5) all’”Agire per il Clima” che è il 13. Fino al 17 che si chiama “Partnership per gli obiettivi” che indica più un metodo di collaborazione da coltivare per questi e i futuri obiettivi (vi invito a visitare il sito unric.org/it/agenda-2030/ per la descrizione puntuale di tutti gli obiettivi).
Il quarto degli obiettivi dell’Agenda 2030 è una “Istruzione di qualità” che nello specifico intende “fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti”. Impossibile non soffermarsi su questo, proprio a poche settimane dalla ripresa delle scuole, in un anno così significativo.
Nel 2030, i bambini delle elementari saranno maggiorenni o quasi, i ragazzi che oggi sono alle superiori inizieranno forse a formare le loro famiglie. Quando parliamo di “generazione 2030” parliamo di tutti loro, uomini e donne che tra 10 anni staranno prendendo le redini del nostro mondo o si staranno preparando per farlo. Sono i ragazzi e le ragazze che stiamo formando adesso. Certo, è l’anno del Covid, forse saranno gli anni del Covid, fino a che un vaccino sicuro ed efficace non ci farà stare più sereni, ma questo non può essere un alibi per trascurarli, anzi. Per questo abbiamo provato a dedicare loro, alla loro formazione, al pianeta che lasceremo, questo numero.
“Se vuoi cambiare il mondo, educa un bambino”, disse Maria Montessori. L’ONU, con la sua ambiziosa Agenda 2030, vorrebbe cambiare il mondo prima, per lasciarlo già “un po’ migliore” alle generazioni che verranno.
Ma tra le eredità migliori che possiamo lasciare loro è certamente l’educazione. Personalmente non so quanto la scuola (e le altre agenzie educative) possa o debba preparare effettivamente a un futuro che, per le condizioni di oggi, in un mondo incerto e volatile, non possiamo prevedere. Possiamo però insegnare loro ad essere padroni di sè tra gli altri.
Un individuo tra molti individui. Non soli, ma parte di un tutto a cui si è inevitabilmente legati. Che ci dà sostegno ma di cui siamo corresponsabili.
E mentre scrivo queste frasi e cerco di concludere un ragionamento, mi si sintetizza tutto in un’unica idea: bisogna lasciare per il futuro un po’ più di Acli.
In questo numero di Battaglie Sociali
Filo Rosso
Generazione 2030 (di Stefano Dioni)
Chi educa chi? (di Beppe Pasini)
Prigionieri del dio Pil (di Angelo Onger)
I segni dei tempi
OMS: nuovo terreno di scontro (di Veronica Lanzoni)
Le Acli a Congresso: Più eguali. Viviamo il presente, costruiamo il futuro (a cura della Redazione)
Librarti
di Pierluigi Labolani e Fabrizio Molteni
Annales
di Salvatore Del Vecchio
Una nuova responsabilità sociale di impresa
di Fabio Scozzesi
Sportello Lavoro
di Fabrizia Reali
Riscoprire il territorio che vive di relazioni e prossimità
di Luciano Pendoli
Radici e sogni
di mons. Alfredo Scaratti
e molto altro...