Mentre scrivo – e temo anche mentre leggi – il mondo è messo a ferro e fuoco. Ucraina, Israele e Palestina, e altre decine di conflitti in una terza guerra mondiale denunciata non più solo dal malato e anziano Pontefice, ma conclamata ormai dall’evidenza tragica dei fatti, che si impone manifesta anche nelle drammatiche e non più celabili conseguenze socio-economiche.
Ferro e fuoco. Tragica e folle combinazione bellica, che oltre a mietere vittime innocenti anche tra i civili, alimenta le fiamme climatiche nelle quali è avvolto da tempo il pianeta, senza che la politica globale riesca ad accettare di assumersi le proprie responsabilità. Per tenere viva la speranza, ci aggrappiamo al richiamo del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres durante la Cop28 di Dubai: «Proteggere il nostro clima è la più grande prova di leadership a livello mondiale. Il destino dell’umanità è in bilico. Siamo a chilometri dagli obiettivi dell’Accordo di Parigi, e a pochi minuti dalla mezzanotte per il limite di 1,5 gradi. Ma non è troppo tardi». Possiamo ancora prevenire lo schianto planetario e l’incendio. Abbiamo le tecnologie per evitare il peggio del caos climatico. Abbiamo bisogno di leadership, cooperazione e volontà politica. Con scelte determinate: «Non possiamo salvare un pianeta in fiamme con un idrante di combustibili fossili. Dobbiamo accelerare una transizione giusta ed equa verso le energie rinnovabili», ha ammonito ancora Guterres, richiamando l’impegno a triplicare le energie rinnovabili, raddoppiare l’efficienza energetica e portare energia pulita a tutti entro il 2030.
Siamo di fronte a un mondo ineguale e diviso. Il caos climatico sta alimentando il fuoco dell’ingiustizia. Il riscaldamento globale sta distruggendo i bilanci, facendo lievitare i prezzi dei prodotti alimentari, sconvolgendo i mercati energetici e alimentando una crisi del costo della vita. Il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura, con conseguenze che ricadono soprattutto sulle fasce più vulnerabili della popolazione mondiale, con una stretta connessione tra il problema ambientale e quello sociale. L’ecologia integrale “predicata” da papa Francesco ci dice che siamo inestricabilmente legati a tutti gli altri viventi e non viventi sul pianeta. Nella recente esortazione apostolica Laudate Deum, il Santo Padre riprende e sviluppa temi già affrontati nelle sue due encicliche più note, Laudato si’ e Fratelli tutti, quali l’urgenza di affrontare la crisi sociale e ambientale, l’ascolto della scienza, la critica al paradigma tecnocratico, la volontà di costruire un “noi” in grado di prendersi cura della casa comune, mediante il lavoro delle istituzioni internazionali e il protagonismo della società civile. Nell’esortazione il Pontefice ci invita a cambiare stili di vita, a fare comunità e a spingere dal basso sulla politica per una vera conversione ecologica. La contemporanea scienza del clima e la visione moderna e sistemica delle interconnessioni che esistono sul nostro pianeta ci devono spingere verso la strada della cura reciproca.
Il valore peculiare e centrale dell’essere umano, affermato dalla tradizione giudaico-cristiana, deve essere oggi interpretato nella forma di un “antropocentrismo situato” fondato sulla consapevolezza che la vita umana è incomprensibile e insostenibile senza le altre creature. Questa visione relazionale pone fine all’idea di un essere umano autonomo, onnipotente e illimitato e permette di comprendere la nostra umanità in maniera più umile e più ricca. Si tratta di cambiare paradigma per trasformare la cultura del consumo e lo stile di vita irresponsabile legato al modello occidentale, attraverso scelte personali e comunitarie, spirituali e sociali in grado di plasmare un diverso approccio alla vita.
Anche questo è Natale. Accogliere Dio nella nostra vita è decidere di attivarci per cambiare stile di vita, modificare il nostro sguardo sulla realtà e sugli altri, nella logica della fraternità come paradigma politico. Con la responsabilità che la pace si costruisce attraverso il recupero di un alfabeto umano della vita, comprensibile proprio a partire dalla cura delle relazioni a noi più prossime.