#EDITORIAL
Più eguali. Ovvero un nuovo umanesimo.
di Pierangelo Milesi (presidente provinciale Acli)
L'azione delle Acli è ispirata a un pensiero, che affonda le radici nel messaggio evangelico e nel magistero sociale della Chiesa, abbracciando la visione del personalismo comunitario. Le Acli del 2020 rinnovano questo pensiero e lo traducono in progetti di azione sociale, finalizzati a rendere la società più eguale. L’esigenza e l’urgenza di un nuovo umanesimo, per il quale ci impegniamo, è fondata sulla centralità dell’uomo «immagine di Dio» e sulla conseguente dignità inalienabile della persona umana, libera e responsabile. E' l’idea che papa Francesco ha consegnato alla Chiesa italiana al Convegno di Firenze nel 2015: «Gesù è il nostro umanesimo... Il volto di Gesù è simile a quello di tanti nostri fratelli umiliati, resi schiavi, svuotati. Dio ha assunto il loro volto. E quel volto ci guarda».
L’Umanesimo è tornato attuale perchè si è riaperto, in maniera drammatica e in forme del tutto nuove, il problema della condizione umana. Le disuguaglianze che riscontriamo nel mondo e nelle trame delle storie personali e comunitarie, sono un riflesso della disumanizzazione dei rapporti umani che caratterizza la nostra epoca. L’umanesimo è anche età di crisi, in cui il pensiero si fa cosciente della fine di un Or- dine e del compito di definirne un altro. Parlare di nuovo umanesimo significa essere coscienti del cambiamento d’epoca in cui ci troviamo e della conseguente esigenza di cercare soluzioni ai problemi, non di semplice difesa e conservazione, ma di largo respiro e di responsabile condivisione.
In questi mesi di Congresso sul territorio provinciale abbiamo incontrato molte persone, parlato e ascoltato, riletto insieme il contesto globale e locale. Le sempre più accentuate e multiformi disuguaglianze rappresentano lo sfondo sul quale si collocano più specifiche linee di frattura, che rappresentano altrettante prospettive sulle quali intendiamo concentrare la nostra attenzione per il futuro. In particolare, pensiamo che ci siano almeno quattro strappi da ricucire attraverso la riflessione e l’azione diretta: lavoro e sapere, periferia e comunità, politica e democrazia, economia e ambiente. Si tratta di quattro grandi contraddizioni, quattro ambiti della vita sociale ed economica le cui logiche stridono con l’ecologia integrale, che ci viene offerta come paradigma antropologico e politico nella Laudato sì.
Dentro queste fratture c’è in gioco la ricerca di un nuovo equilibrio per la nostra identità di italiani ed europei. L’inverno demografico, l’aumento della povertà, la perdita del lavoro, il dilagare della corruzione, la crisi delle famiglie, rappresentano fenomeni che frantumano la nostra società, creando disuguaglianza strutturale. La sfida è recuperare, per il futuro delle prossime generazioni, una visione europea umanista e sostenibile, investendo sullo sviluppo umano per un nuovo umanesimo.
Se da un lato la comunità internazionale ha raggiunto il consenso su una serie di obiettivi di sviluppo sostenibile che coinvolgono governi, opinione pubblica e imprese a livello globale, dall’altro le politiche di cooperazione, basate sul bene comune, la solidarietà e la «conversione ecologica», si scontrano con individualismi e indifferenze. Per una società più eguale, occorre perciò liberare la cultura, riflettendo sulle nostre responsabilità e sulla nostra comune interdipendenza superando gli egoismi e le arroganze, aprendo le menti, coltivando le virtù civiche. Occorre la Politica, che è servizio del bene comune. Per ripensare l’economia e il mercato con una diversa visione della natura umana. Occorre la Speranza, che per noi parte dalle periferie, dalle classi più povere ed emarginate: saranno loro a fornirci le coordinate del nostro futuro.
Ognuno è impastato nella stessa pasta
di Daniela Del Ciello
Dal dizionario risulta che “eguali” sia una variante meno comune di “uguali”. Ma se il mio animo da comunicatrice e quello da aclista non mi ingannano, non è stato un vezzo letterario scegliere la forma più rara. Infatti, se in parte si facilitava la pronuncia del titolo evitando le due “u” consecutive che ci sarebbero state in “più uguali”, dall’altra c’è una lieve sfumatura dentro quella “e” che è stata preferita.
La “u” ci parla di uguaglianza come di una condizione umana data per nascita (“Ognuno è impastato nella stessa pasta...”), la “e” ci evoca la - più difficile - ri-creazione di quella condizione nell’attimo dopo a quello in cui si viene al mondo (“... ma non cotto nello stesso forno*”).
Mentre la pasta di cui siamo fatti dipende da Dio, il forno in cui si cuoce - ovvero l’insieme di condizioni fisiche, geografiche, sociali, economiche, di genere in cui si vive - lo crea l’uomo.
Il modello di forno perfetto, quello dalla cottura “uniforme” non è ancora stato inventato. I più disfattisti diranno che non è di questo mondo, ma il disfattismo non è cosa per aclisti. Sappiamo bene, da laici impegnati, che il Regno di Dio non verrà ricreato in terra. Sappiamo però anche che abbiamo il compito di rendere questo mondo un luogo di vita pienamente umana. Jacques Maritain lo disse con ottime parole: un luogo “le cui strutture sociali abbiano come misura la giustizia, la dignità della persona umana, l’amore fraterno”.
“Avere come misura” è un’espressione che dà l’idea di una tensione verso un obiettivo, o di un criterio guida. E' un’espressione onesta, conscia dei limiti dell’uomo e della donna, eppure non auto indulgente: avere come misura l’amore non è compito da niente. Ogni “misura” inferiore a quella dell’amore quindi è da ritenersi insufficiente. Non per demoralizzarci, ma per non accontentarci.
Sugli effetti delle diseguaglianze leggerete le pagine a seguire. Non ci siamo risparmiati. Il nostro Congresso, a tutti i livelli, ci impegnerà su questi temi e abbiamo avuto modo, già dal numero scorso, di dare qualche assaggio dei ricchi contenuti su cui ci siamo interrogati e che abbiamo approfondito. Mi perdonerete quindi questa piccola digressione nell’Iperuranio (il luogo in cui nascono le idee): visitarlo ogni tanto è un lusso che fa bene.
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Con questo numero della rivista si chiude un quadriennio in cui, con affetto e passione sinceri, mi sono dedicata, con delega della Presidenza provinciale, a Battaglie Sociali, uno dei più gloriosi periodici delle provincie acliste. Se non dovessi avere la fortuna di proseguire questo lavoro, spero di aver lasciato - qua e là sulle 512 pagine uscite in questi anni - qualche scintilla buona.
*Proverbio Yiddish
In questo numero di Battaglie Sociali
Filo Rosso
Acli 2020 Più Eguali (di Stefania Romano e Fabrizio Molteni)
Il nostro fisco è davvero equo? (di Michele Dell'Aglio)
I segni dei tempi
Democrazia italiana a diverse velocità (di Pierluigi Labolani)
Fatti non foste...
Towards The Economy of Francesco (di Chiara Signoria)
Più Giusto (di Maurilio Lovatti)
Librarti
di Salvatore Del Vecchio e Angelo Onger
Annales
di Salvatore Del Vecchio
Rimetti a noi i nostri debiti
di Fabio Scozzesi
Sportello Lavoro
di Fabrizia Reali
Anziani e digital divide
di Luciano Pendoli
Le disuguaglianze
di mons. Alfredo Scaratti
e molto altro...