Eccoci nella Terza Repubblica. Alle elezioni politiche del 4 marzo i cittadini hanno votato e si sono espressi in modo anche troppo chiaro, cancellando peraltro lo spettro dell’astensionismo contro il quale ci siamo impegnati. I risultati delle votazioni ci dicono di un mutato paradigma politico che in qualche misura era atteso, ma non certo nelle forme e nei modi che ha assunto: il movimento di voti che ha favorito la coalizione di destra (trainata da una Lega ormai nazionale) e che ha consegnato il ruolo di primo partito al Movimento 5 Stelle (con un baricentro spostato verso Sud) ha contemporaneamente relegato il Partito Democratico, rimasto l’unico riferimento di una sinistra possibile, nella condizione di minorità in cui sono state relegate la maggior parte delle forze politiche di sinistra nel Vecchio Continente.
Dunque, mentre l’affluenza alle urne ci incoraggia dicendoci che la politica genera ancora passione e partecipazione, almeno nel voto, i risultati delle elezioni hanno confermato una forte volontà di cambiamento nel Paese. I partiti più istituzionali e governativi, nonostante il lavoro effettuato, non sono stati premiati e gli elettori hanno votato soprattutto le liste che hanno promesso di garantire protezione. Da che cosa? In primo luogo dalla precarietà del lavoro e della posizione sociale, dall’insicurezza per il futuro. D’altro canto, molti esprimono il bisogno di una protezione intesa in termini più coattivi nei confronti del percepito dilagare della criminalità, associata immediatamente al fenomeno (per altro in calo) dell’immigrazione. In termini più sofisticati, anche se più apocalittici, la paura di un mutamento del nostro paradigma culturale a seguito dell’invasione da parte di un Islam agguerrito e sicuro di sè.
Ora la palla passa alle forze politiche e al Parlamento, che aiutate dalla saggezza del Capo dello Stato, confidiamo sappiano esprimere responsabilità e capacità di dialogo per il bene comune. La situazione è complessa e richiede uno sforzo di intelligenza, di libertà e soprattutto la capacità di leggere il mutato contesto con uno sguardo nuovo e di prospettiva.
Vale anche per le Acli e in genere per i corpi intermedi (esclusi trasversalmente nelle loro rappresentanze dalle liste elettorali costruite da partiti resisi impermeabili alle forze organizzate della società civile), pena la dissolvenza nell’irrilevanza politica, se non per la gestione di alcuni spazi di welfare territoriale. Nel Discorso di Firenze, Papa Francesco invitava la Chiesa italiana ad “immergersi nell’ampio dialogo sociale e politico”.
Non è tempo di stare al balcone, occorre umiltà per leggere i bisogni e non avere timore di sporcarsi le mani. Compito delle Acli è formare coscienze critiche, educare alla politica e alla cura dei legami sociali, per prendersi in carico le persone e le famiglie fragili nella prospettiva della fraternità come paradigma politico. Nessuno si deve sentire solo, abbandonato, dimenticato di fronte a un problema. È la comunità che si deve far carico dei più deboli. Parafrasando don Milani, sortirne insieme è la politica.
Innanzitutto partendo dal lavoro, che la Costituzione riconosce a fondamento del nostro convivere. Abbiamo il dovere di studiare le questioni, proporre soluzioni e favorire l'incontro e il dialogo per la costruzione di un grande patto per il lavoro. Un patto che deve essere prima di tutto intergenerazionale, allo scopo di promuovere il lavoro degno, non sfruttato e degradato, ragionevolmente retribuito e stabile. Una questione che deve riguardare certamente lo Stato e la politica, ma anche le comunità, le famiglie, le imprese, le associazioni, la Chiesa. Ci sostiene una convinzione profonda: l’Italia ha tutte le qualità per fare questo nuovo lavoro. E Brescia può essere un buon cantiere.
Buona Pasqua.