80 mila persone profughi delle guerre in medio oriente spinte da Erdogan attraversano il confine greco per arrivare in Europa. Dalla fine di febbraio, con la scusa dell’aggravarsi della crisi umanitaria a Idlib, provocata dall’intervento siriano e russo, le autorità turche hanno deciso di sospendere i controlli alla frontiera con la Siria e i rifugiati si sono mossi verso in confini dell’Unione dove la Grecia e la Bulgaria hanno militarizzando i confini, respingendo con violenza i migranti e sospeso le richieste di asilo. A 5 anni dall’apertura della rotta balcanica il fronte orientale delle migrazioni attraversa una nuova drammatica emergenza.
La Rotta Balcanica assunse un ruolo decisivo nella storia delle migrazioni interne via terra a partire dal 2015, anno in cui 900 mila persone, provenienti dei paesi del quadrante medio orientale siriano e iracheno in fuga dalle aree di guerra, hanno utilizzato questa rotta per raggiungere l’Europa attraversando la Turchia, la Grecia e i Balcani occidentali.
Vista la portata della crisi umanitaria, il Consiglio d’Europa concordò insieme ai Balcani occidentali l’apertura di un sistema di hot-spot che garantiva ai migranti la sicurezza e la protezione lungo l’attraversamento di questi territori. Ma nel Marzo del 2016 l’accordo tra Unione Europea e Turchia (da 6 miliardi di euro) ha previsto in sostanza la chiusura degli hot-spot, la chiusura dei confini, la creazione di centri di transito e per l’asilo e l’esternalizzazione delle frontiere.
Da quel momento oltre 140.000 persone sono rimaste intrappolate in Grecia e oltre 7.000 persone si sono trovate bloccate lungo i centri di transito e campi per richiedenti asilo che sono stati allestiti tra Macedonia e Serbia.
Nella primavera del 2018, vista la difficoltà sempre maggiore di uscire attraverso il confine a nord, tra la Croazia e la Serbia e l’Ungheria, centinaia di migranti hanno iniziato a spostarsi verso la Bosnia-Erzegovina dirigendosi verso il confine occidentale con la Croazia.
Secondo i dati ufficiali, i migranti e i richiedenti asilo su questa rotta sono decine di migliaia mentre il flusso dei migranti provenienti dalla Turchia e approdato sulle isole della Grecia è sempre continuato anche se tutta l’attenzione politica e mediatica si è sempre focalizzata sul flusso del mediterraneo.
Oggi purtroppo la situazione su alcune isole è drammatica. In particolar modo Lesbo è diventata una sorta di prigione a cielo aperto, dove anche parti della popolazione locale, fomentata da fazioni di estrema destra, si stanno mobilitando con violenza contro i profughi
Per fare fronte alla crisi in questi paesi del sud est europeo sono stati allestiti, negli anni, diversi centri di accoglienza di modesto profilo, campi informali e senza assistenza da dove, la maggior parte dei migranti, ha sempre tentato la fuga attraversando i confini lungo i paesi della Rotta Balcanica, finendo per cadere vittima di organizzazione criminali di trafficanti e subendo spesso anche la violenza esercitata dalle polizie di frontiere, in particolare quella croata, che hanno aumentato i controlli e i respingimenti (violenze documentate da molte associazioni ed oggetto di interpellanze presso il Parlamento Europeo).
IPSIA ACLI, insieme alla rete Caritas, lavora dal 2015 a progetti di accoglienza dei profughi provenienti dalla Rotta Balcanica, in Serbia e Bosnia. All’interno dei campi sono stati creati spazi ricreativi, come i Social Café o i #RefugeesWelcome, dove le persone possono incontrarsi, bere una bevanda calda, svolgere attività ricreative e di socializzazione con una particolare attenzione ad adolescenti e a minori non accompagnati. IPSIA ha organizzato, inoltre, una presenza di volontariato giovanile attraverso il progetto internazionale Terre e Libertà insieme ai #Cantieridellasolidarietà di #caritasambrosiana.
Da anni, come altri operatori umanitari presenti sul campo, IPSIA ACLI denuncia l’incancrenirsi di una situazione che andava affrontata politicamente, mentre è prevalso un atteggiamento miope volto ad istituzionalizzare il problema spingendolo ad una sua cronicizzazione, costruendo una sorta di cordone sociale sanitario (ironia della sorte, ai tempi del coronavirus) dove i migranti rimangono per anni in attesa di trovare comunque la maniera di arrivare, pagando qualsiasi prezzo e sofferenza.
Dopo 5 anni vengono fuori tutti i limiti e la miopia di una politica europea che ha pagato un leader autoritario e fomentatore di conflitti come Erdogan per fargli svolgere il ruolo sporco di controllore dei confini esterni dell’Unione consegnandogli una potente arma di ricatto.
Non è possibile che l’Unione continui a scaricare su stati deboli e con estesa fragilità economica e sociale, che siano i Balcani o che sia un paese dell’Unione come la Grecia, le politiche migratorie di controllo e di sicurezza.
In analogia a quanto sta succedendo in Libia, occorre una svolta, un scatto politico. Il #whateverittakes di Mario Draghi non può valere solo per le politiche monetarie ma anche per quelle della solidarietà se l’Unione Europea ha ancora un senso. E il primo passo è la sospensione dell’accordo con la Turchia.
Mauro Montalbetti
Presidente IPSIA Acli