La storia si ripete. Basta un atto di coraggio. Stop all’accordo Ue/Turchia

Giovedì 5 marzo 2020

 

80 mila persone profughi delle guerre in medio oriente spinte da Erdogan attraversano il confine greco per arrivare in Europa. Dalla fine di febbraio, con la scusa dell’aggravarsi della crisi umanitaria a Idlib, provocata dall’intervento siriano e russo, le autorità turche hanno deciso di sospendere i controlli alla frontiera con la Siria e i rifugiati si sono mossi verso in confini dell’Unione dove la Grecia e la Bulgaria hanno militarizzando i confini, respingendo con violenza i migranti e sospeso le richieste di asilo. A 5 anni dall’apertura della rotta balcanica il fronte orientale delle migrazioni attraversa una nuova drammatica emergenza.


La Rotta Balcanica assunse un ruolo decisivo nella storia delle migrazioni interne via terra a partire dal 2015, anno in cui 900 mila persone, provenienti dei paesi del quadrante medio orientale siriano e iracheno in fuga dalle aree di guerra, hanno utilizzato questa rotta per raggiungere l’Europa attraversando la Turchia, la Grecia e i Balcani occidentali.


Vista la portata della crisi umanitaria, il Consiglio d’Europa concordò insieme ai Balcani occidentali l’apertura di un sistema di hot-spot che garantiva ai migranti la sicurezza e la protezione lungo l’attraversamento di questi territori. Ma nel Marzo del 2016 l’accordo tra Unione Europea e Turchia (da 6 miliardi di euro) ha previsto in sostanza la chiusura degli hot-spot, la chiusura dei confini, la creazione di centri di transito e per l’asilo e l’esternalizzazione delle frontiere.


Da quel momento oltre 140.000 persone sono rimaste intrappolate in Grecia e oltre 7.000 persone si sono trovate bloccate lungo i centri di transito e campi per richiedenti asilo che sono stati allestiti tra Macedonia e Serbia.


Nella primavera del 2018, vista la difficoltà sempre maggiore di uscire attraverso il confine a nord, tra la Croazia e la Serbia e l’Ungheria, centinaia di migranti hanno iniziato a spostarsi verso la Bosnia-Erzegovina dirigendosi verso il confine occidentale con la Croazia.


Secondo i dati ufficiali, i migranti e i richiedenti asilo su questa rotta sono decine di migliaia mentre il flusso dei migranti provenienti dalla Turchia e approdato sulle isole della Grecia è sempre continuato anche se tutta l’attenzione politica e mediatica si è sempre focalizzata sul flusso del mediterraneo.


Oggi purtroppo la situazione su alcune isole è drammatica. In particolar modo Lesbo è diventata una sorta di prigione a cielo aperto, dove anche parti della popolazione locale, fomentata da fazioni di estrema destra, si stanno mobilitando con violenza contro i profughi


Per fare fronte alla crisi in questi paesi del sud est europeo sono stati allestiti, negli anni, diversi centri di accoglienza di modesto profilo, campi informali e senza assistenza da dove, la maggior parte dei migranti, ha sempre tentato la fuga attraversando i confini lungo i paesi della Rotta Balcanica, finendo per cadere vittima di organizzazione criminali di trafficanti e subendo spesso anche la violenza esercitata dalle polizie di frontiere, in particolare quella croata, che hanno aumentato i controlli e i respingimenti (violenze documentate da molte associazioni ed oggetto di interpellanze presso il Parlamento Europeo).


IPSIA ACLI, insieme alla rete Caritas, lavora dal 2015 a progetti di accoglienza dei profughi provenienti dalla Rotta Balcanica, in Serbia e Bosnia. All’interno dei campi sono stati creati spazi ricreativi, come i Social Café o i #RefugeesWelcome, dove le persone possono incontrarsi, bere una bevanda calda, svolgere attività ricreative e di socializzazione con una particolare attenzione ad adolescenti e a minori non accompagnati. IPSIA ha organizzato, inoltre, una presenza di volontariato giovanile attraverso il progetto internazionale Terre e Libertà insieme ai #Cantieridellasolidarietà di #caritasambrosiana.


Da anni, come altri operatori umanitari presenti sul campo, IPSIA ACLI denuncia l’incancrenirsi di una situazione che andava affrontata politicamente, mentre è prevalso un atteggiamento miope volto ad istituzionalizzare il problema spingendolo ad una sua cronicizzazione, costruendo una sorta di cordone sociale sanitario (ironia della sorte, ai tempi del coronavirus) dove i migranti rimangono per anni in attesa di trovare comunque la maniera di arrivare, pagando qualsiasi prezzo e sofferenza.


Dopo 5 anni vengono fuori tutti i limiti e la miopia di una politica europea che ha pagato un leader autoritario e fomentatore di conflitti come Erdogan per fargli svolgere il ruolo sporco di controllore dei confini esterni dell’Unione consegnandogli una potente arma di ricatto.


Non è possibile che l’Unione continui a scaricare su stati deboli e con estesa fragilità economica e sociale, che siano i Balcani o che sia un paese dell’Unione come la Grecia, le politiche migratorie di controllo e di sicurezza. 


In analogia a quanto sta succedendo in Libia, occorre una svolta, un scatto politico. Il #whateverittakes di Mario Draghi non può valere solo per le politiche monetarie ma anche per quelle della solidarietà se l’Unione Europea ha ancora un senso. E il primo passo è la sospensione dell’accordo con la Turchia.


Mauro Montalbetti
Presidente IPSIA Acli

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