Al referendum sì per un processo costruttivo

Giovedì 24 novembre 2016
Si avvicina la data del referendum costituzionale per l’approvazione o meno della riforma. Riassumendo il lavoro fatto in questi mesi per approfondirne i contenuti, il Consiglio provinciale delle Acli bresciane sottolinea il valore della partecipazione consapevole al voto, occasione per vincere l’immobilismo del nostro Paese, riprendendo la condivisa posizione della rivista Aggiornamenti sociali.
 
 
Qualunque sarà l’esito della consultazione referendaria sulla riforma della Costituzione del prossimo 4 dicembre, questa costituisce un passaggio importante per la vita civile, politica e istituzionale dell’Italia,  anche in relazione all’UE per le implicite interessenze tecniche e politiche. Le Acli bresciane, attraverso un’opera di pedagogia costituzionale, hanno seguito questo passaggio con spirito di servizio e responsabilità, nel riconoscimento di un sano pluralismo di idee. Sono stati organizzati e animati più di quaranta incontri nelle comunità locali, con la finalità di contribuire a rifondare la cultura politica del nostro Paese attorno ai principi e ai valori della Costituzione, offrendo informazioni, riferimenti e strumenti per orientarsi e prendere una decisione consapevole e responsabile, convinti che questo sia il modo per favorire una partecipazione autentica ai processi democratici.
 
La nostra posizione, senza sottrarci a indicare per quale alternativa propendiamo, è un invito a uscire dalla logica binaria in cui troppo spesso il dibattito resta intrappolato; è più interessante immaginare un percorso in cui questo referendum, a prescindere dal suo esito, rappresenti una opportunità di maturazione della coscienza democratica della nostra società.
Invitiamo tutti i cittadini a partecipare al voto in modo informato. Non recarsi alle urne non costituisce un’opzione politica, ma una delega in bianco a chi andrà a votare, un’espressione, forse involontaria, di disinteresse o di scarsa consapevolezza civica.
 
La scadenza referendaria, nell’obbligarci a “rifare i conti” con la Costituzione, è stata un’occasione per attivare nella nostra società dei fermenti vivi e vitali: un effetto probabilmente non previsto e non voluto, che a nostro giudizio costituisce per le realtà ecclesiali e della società civile un segnale di speranza e un’opportunità preziosa per incontrarsi e lavorare insieme.
 
Il dibattito referendario ha visto spesso prevalere una logica di sterile contrapposizione, dettata dalla difesa di principi disincarnati dalla realtà, personalismi, faziosità o ragioni di convenienza politica di una parte. Dialogare e confrontarsi sul merito, senza negare il rilievo politico del voto referendario, significa invece concentrarsi sul futuro che vorremmo costruire per l’Italia, tenendo conto dell’attuale contesto interno e internazionale: dall’evoluzione della UE alle tante forme di globalizzazione, dalla sofferenza sociale che tocca tanti strati della popolazione al rapido cambiamento della società italiana, anche per i fenomeni migratori (in entrata e in uscita) e demografici.
 
Il discernimento delle Acli si è giocato rispetto all’esercizio della democrazia nel nostro Paese, sul rapporto e l’articolazione tra i poteri, sulla partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, sul bilanciamento tra autonomie locali e unità nazionale.
 
Nel 1948 il mondo era separato in due blocchi, la UE non esisteva e la parola globalizzazione non era stata ancora coniata. Gli scenari globali e la realtà interna al Paese mutano repentinamente. Lo spirito riformista delle Acli e una moderna cultura della manutenzione costituzionale ci consentono di non cedere alla tentazione dell’immobilismo, che tradisce lo spirito costituente, sacralizzando il testo e sancendo la distanza del testo dalla realtà vissuta. Modificare il testo costituzionale non è certo la panacea di tutti problemi del nostro Paese ma, dopo trent’anni di discussioni sulle riforme costituzionali, è un tassello necessario nel quadro di un insieme più ampio di interventi, primo su tutti la riforma dei partiti.
 
La riforma su cui siamo chiamati a esprimerci, lasciando intatti i valori, i principi e l’identità della forma di governo parlamentare italiana che mantiene le garanzie volute nel 1948, interviene sulla “meccanica costituzionale” e non è una minaccia alla nostra democrazia. Il testo della riforma non è certo il migliore possibile. Liberiamo la valutazione da allarmismi fuori luogo nella consapevolezza che la scelta a cui siamo chiamati come elettori è tra due opzioni – mantenere lo status quo o modificare la Costituzione – entrambe legittime e possibili. La logica del referendum costituzionale ci obbliga a pronunciarci scegliendo tra due possibilità di bene, entrambe con evidenti limiti e alcune palesi controindicazioni, privilegiando l’opzione che più si avvicina ad un ordinamento che riteniamo adeguato al momento storico che viviamo e per il futuro.
 
Guardando alla storia del nostro Paese e ancor più al suo domani, approvare la riforma, pur con i suoi limiti, ci appare come il passo da compiere in questo momento, perché può meglio accompagnare e sostenere quanto fin qui è emerso nella società civile, pur sapendo che persone degne di stima e amici delle e nelle Acli hanno un diverso avviso. L’attribuzione del voto di fiducia alla sola Camera dei deputati, se accompagnata da una legge elettorale che assicuri la formazione di una maggioranza senza mortificare la rappresentanza democratica, permette ai cittadini di attribuire in modo chiaro a una classe politica il compito di guidare il Paese e quindi chiedere conto della sua responsabilità se viene meno al compito affidato. Allo stesso modo il nuovo Senato potrà essere il luogo di confronto e mediazione tra interessi nazionali e regionali, a patto che, attraverso il necessario rodaggio, riesca a costruirsi un ruolo politico.
 
È chiaro: la riforma non risolverà tutti i problemi del sistema politico italiano, ma può costituire un passaggio fondamentale. Non ci sono garanzie; ma bloccare ogni iniziativa perché non si sa ciò che potrebbe accadere sarebbe una condotta dettata dalla paura e dalla sfiducia; accettare le incertezze e le incognite di una novità, di cui si riconoscono pregi e difetti, significa sbilanciarsi verso il futuro e obbligarsi a ricercare un nuovo equilibrio. Significa anche confidare nelle forze resilienti che esistono e sono all’opera nella società e nelle istituzioni.
 
 
 
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