Don Bruno Bignami in visita alla mostra "Terra prossima"

Giovedì 21 marzo 2024

Il direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei ha visitato la mostra organizzata dalle Acli bresciane

Grande apprezzamento è stato espresso da don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei, verso la mostra “Terra prossima. Nulla è lontano”, naturale ed umano uniti nelle encicliche “Laudato Sì” e “Fratelli Tutti” e nell’esortazione apostolica “Laudate Deum”. Dopo la sua visita a questa mostra fortemente voluta dalle Acli provinciali in collaborazione con il Museo Diocesano di Brescia, don Bruno ha elogiato l’intento, sotteso agli eventi di questo genere, di “sollecitare quello sguardo contemplativo che abbiamo messo un po’ da parte. La bellezza dell’arte ci permette di fermarci e di riacquistare la capacità di stupore e di meraviglia, uscendo dall’ottica utilitaristica, ricordandoci che Dio ha creato l’essere umano affinché ci fosse qualcuno che, di fronte alla creazione, poetesse meravigliarsi e dire: ‘che bello’!”

Con don Bruno c’è stata l’occasione per sviluppare altre riflessioni, sui temi del lavoro ma anche sui giovani e sul senso della vita sociale. In particolare, sul rapporto tra sviluppo tecnologico e apporto dell’essere umano, quindi del cambiamento di dinamiche che questo comporta e il rischio di perdita del senso profondo del lavoro stesso, il sacerdote ha osservato: “La perdita del significato del lavoro in realtà è legata al passaggio storico in cui siamo, dove assistiamo ad una carenza di sguardo spirituale e culturale sulla vita. Del resto la cultura capitalista ha posto come unico paradigma il denaro e questo ha generato la svalutazione della qualità del lavoro ma anche della motivazione al lavoro. Oggi uno dei desideri comuni è quello di poter vivere senza dover lavorare, ma così si dimentica che il lavoro è esperienza di costruzione, di presa in carico, di cura, di responsabilità”.

L’intelligenza artificiale e le tecnologie sempre più sviluppate possono creare diseguaglianze enormi, in particolari tra chi possiede le tecnologie e il sapere necessario per usarle, e chi invece non ce l’ha. “Il problema è proprio questo – concorda don Bruno – quindi non tanto le trasformazioni, che ci sono sempre state e storicamente sono parte integrante del lavoro stesso, quanto la proprietà della tecnologia. Ci sono due aspetti su cui riflettere: dapprima sul fatto che il nuovo modello, sempre più tecnologico, ha bisogno di formazione continua: non basta più frequentare una la scuola e poi fare il tirocinio, bensì occorre essere sempre pronti a conoscere le innovazioni, in ogni momento della vita lavorativa. In secondo luogo si deve sempre considerare che l’invenzione e la gestione delle nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale non sono neutri, dipendono da chi costruisce la macchina, da chi programma l’algoritmo, dai motivi per cui si inventa. Tutto ciò impatta sul tema delle diseguaglianze”.

Come ultime riflessioni don Bruno si è soffermato sulla “necessità di cambiare lo stile: oggi tutto è basato sulla contrapposizione e questo allontana dal vero senso della vita sociale, che invece è darsi motivi per vivere nella diversità, diversità che è ricchezza, è parte costitutiva dell’essere umano. Più che trovare nuovi stili di relazione e di vita sociale o politica oggi occorre trovare convergenze”. Infine la grande sfida del coinvolgimento dei giovani e del rapporto tra generazioni: “I giovani hanno sensibilità sui temi sociali: occorre saperli accogliere e accompagnare, mettendosi in ascolto. Gli adulti devono sapere trasmettere la sapienza che deriva dall’esperienza e cogliere dai giovani quella capacità di sguardo diverso che questi ultimi hanno. Si tratta di visioni differenti che possono e devono integrarsi con armonia”.

 
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