di Stefano Dioni
articolo pubblicato su "La Voce del Popolo" di giovedì 1 luglio 2021
Il Piano Nazionale di Ripartenza e Resilienza (PNRR) è un lungo elenco di programmi e progetti pensati per disegnare l’Italia del futuro. Nell’introduzione si parla del Covid e dei suoi effetti sul Paese, ma dopo pochi paragrafi si parla delle fragilità economiche, sociali e ambientali nazionali, del declino ventennale e delle trasformazioni che sarebbero necessarie. Di questo parla il PNRR: di come cambiare il nostro paese. Non si tratta quindi di cercare di riavere l’Italia com’era prima della pandemia, ma di metterla in condizione di superare le sue storiche debolezze e di farla ripartire in modo efficace e sostenibile. Un libro dei sogni, ma anche una nota della spesa e una chiave per ottenere risorse: aver predisposto il piano e avere ottenuto l’approvazione dell’Europa consente infatti di ricevere i finanziamenti necessari per renderlo operativo.
Il PNRR copre 5 anni, fino al 2026; ha due componenti principali, le riforme e le missioni, e alcune priorità trasversali, come il meridione e la disoccupazione (giovanile e femminile). Le principali riforme sono ambiziose e storiche: pubblica amministrazione, giustizia, semplificazione, concorrenza. Le “missioni” sono sei: 1) Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo; 2) Rivoluzione verde e transizione ecologica; 3) Infrastrutture per una mobilità sostenibile; 4) Istruzione e ricerca; 5) Inclusione e coesione; 6) Salute. Ogni “missione” ha più componenti, ciascuna a sua volta composta da riforme e investimenti. È un mosaico: l’insieme delle centinaia di progetti da realizzare comporrà l’Italia di domani, ecologica, digitale, efficiente, solidale, ricca, forse più felice. Un piano ambizioso ma possibile, che porta a una domanda triste: ma ci voleva una pandemia? E poi: ce la faremo? E ancora: come faremo a capire se il Piano avrà funzionato? Un elemento oggettivo e determinante sarà il risultato economico: la crescita. Se l’Italia tornerà a crescere a ritmi paragonabili a quelli dei migliori stati europei il PNRR avrà raggiunto uno dei suoi obiettivi più importanti.
Il piano è finanziato con circa 220 miliardi: quasi un miliardo a pagina. Entrare nel merito del piano porta anche a qualche perplessità e qualche domanda. È lecito chiedersi, per esempio, perché vengono stanziati ben 25 miliardi per le ferrovie e solo 18 per la salute; perché ci sono solo 11 chilometri per nuove metropolitane; dove verranno realizzati i nuovi impianti di gestione rifiuti visto che nessuno li vuole; cosa saranno le 1288 Case della Comunità, nuove strutture sanitarie locali a metà fra distretto e poliambulatorio (in provincia di Brescia potrebbero essercene ameno una ventina entro il 2026). Sono solo alcuni esempi fra i molti: il piano è interessante e denso, ma inevitabilmente privo di sufficienti dettagli. Inoltre si basa sul “fare” e non precisa che tipo di prospettiva sociale disegna: possiamo solo immaginare che attraverso il processo di modernizzazione ed efficientamento dell’apparato statale, l’attenzione a categorie e territori storicamente deboli, e l’individuazione di progetti collettivi di grande respiro (vd. digitalizzazione e transizione ecologica) si punti a costruire una società meno disuguale e più coesa. Se così fosse, sarebbe già un ottimo risultato.
Il piano può essere migliorato, ma affermare che gli obiettivi non sono stati raggiunti significa bloccare i finanziamenti, e poiché nessuno può correre questo rischio, alla classe politica non resta che darsi da fare perché venga realizzato. Questo è il primo traguardo raggiunto: tutti hanno capito che bisogna remare insieme nella stessa direzione e che bisogna arrivare a risultati concreti e misurabili.
Che cosa trova nel PNRR il mondo delle associazioni e del volontariato? Sul piano delle scelte la bella soddisfazione di scoprire che temi come l’inclusione, la coesione sociale, la disabilità, la non autosufficienza, la formazione per il lavoro, la tutela dell’ambiente e persino lo sport sono diventati vere priorità nazionali. Su un piano più operativo, vale l’affermazione riportata a pagina 200: “L’azione pubblica potrà avvalersi del contributo del Terzo Settore”. C’è molto lavoro da fare, un lavoro che promette di essere appassionante perché sorretto da una prospettiva che ci riguarda tutti: va da sé che le Acli sono pronte a fare la propria parte.