Balcani. Dove il nazionalismo cerca di soffocare l'identità interculturale

Giovedì 17 ottobre 2024

Il racconto del viaggio nei Balcani organizzato per il corso di geopolitica Fabula Mundi, che si è tenuto dal 28 settembre al 5 ottobre 2024, guidati da Silvio Ziliotto.

Sono numerose e contrastanti le sensazioni e i pensieri che si portano a casa da un viaggio come quello nei Balcani, affrontato con l’obiettivo di conoscere meglio delle terre di difficile comprensione: luoghi che da sempre sono al confine tra Oriente e Occidente, luoghi di incontri ma anche di scontri, che hanno una storia ricca di passaggi di popoli, di dominazioni e di guerre, dalla quale è scaturita una miscellanea di culture, popoli e religioni. Basti pensare che si possono ancora incontrare persone anziane che nella loro vita hanno avuto il passaporto di 3-4 diversi Stati, pur senza cambiare mai casa.

Anche quest’anno le Acli provinciali di Brescia e Ipsia Brescia hanno proposto un viaggio studio all’interno del percorso di geopolitica Fabula Mundi, che si è realizzato dal 28 settembre al 5 ottobre, con la preziosa guida di Silvio Ziliotto, presidente Ipsia Milano, guida turistica e interprete. Il nostro gruppo è partito da Trieste, dove ha potuto visitare anche la risiera di San Sabba; Trieste, una città porta verso l’Oriente e i Balcani, la cui storia già parla di ponti ma anche di muri. Trieste, città di collegamento con la cultura dell’Europa centrale ma anche della follia umana che si è scaricata su queste terre.

Dopo una sosta, ecco la visita ai laghi di Plitvice (uno dei parchi naturali più belli e visitati d’Europa), che raccontano di terre fatte di dolci colline, meravigliosi boschi attraversati da torrenti e cascate. Sembra impossibile che una natura così incontaminata abbia visto l’odio umano arrivare a certi livelli. Il forte nazionalismo che pervade questi popoli si respira anche tra le parole delle guide e delle persone che abbiamo incontrato durante il viaggio, che spesso chiamano “guerra di liberazione” o “guerra patriottica” quella che per noi è stata la terribile guerra fratricida che ha insanguinato il cuore dell’Europa all’inizio degli anni Novanta.

Una volta entrati in Bosnia, il percorso verso Sarajevo inizia ad essere costellato da numerosi cimiteri e monumenti di guerra, affiancati da chiese ortodosse o moschee, a seconda delle due entità nelle quali è diviso questo Paese: la Federazione di Bosnia ed Erzegovina o la Repubblica Srpska (a maggioranza serba). La capitale Sarajevo, ormai in gran parte ricostruita, ad un occhio distratto sembra molto lontana dagli anni del terribile assedio, che dopo 1425 giorni provocò 12.000 morti, dei quali 1.600 bambini. Significative sono state la visita al tunnel che passava sotto la pista dell’aeroporto (unico collegamento con il mondo esterno) e le testimonianze dirette, che ci hanno trasmesso la sofferenza ma anche la forte consapevolezza che gli abitanti di Sarajevo avevano di difendere una città multietnica e multiculturale. Ce lo ha ripetuto in modo chiaro anche Mirko Pejanović (uno dei padri della Bosnia moderna), che abbiamo incontrato nell’hotel che accolse la stampa durante l’assedio: “A differenza degli altri paesi dei Balcani, la Bosnia è una terra multietnica e multiculturale; qui convivono da sempre bosniaci, serbi e croati. Poi sono arrivati anche gli ebrei. La storia della Bosnia è quella di uno sviluppo europeo e multietnico”. Pejanović (esponente della Presidenza di Bosnia Erzegovina nel periodo bellico) ci ha anche spiegato l’iter del processo di ingresso nell’Unione Europea, per il quale la Bosnia, dal dicembre 2022, ha lo status di candidata. Un processo che, ci ha detto sempre Pejanović, “va accelerato, anche alla luce delle dinamiche geopolitiche e delle mire di altri Stati. L’Unione Europea ha bisogno della Bosnia per rimanere sé stessa, perché nella sua anima c’è un forte carattere multietnico e multiculturale”. Concetti espressi anche dal generale Vahid Karavelić che organizzò la difesa militare durante l’assedio, e che ha raccontato di come i cittadini di Sarajevo si difesero in quegli anni. Altro incontro interessante è stato quello con il rabbino di Sarajevo Eli Tauber, che ci ha raccontato di una storia che ha visto la comunità sefardita vivere le drammatiche guerre dello scorso secolo in simbiosi con tutta la città. Il viaggio è poi continuato con il passaggio dalla Bosnia all’Erzegovina, dove i boschi lasciano spazio ad una terra più dura e meno rigogliosa. Abbiamo visitato la cittadina di Mostar, dove la parte musulmana e quella cattolica sono divise dal fiume Neretva ma unite dal meraviglioso ponte ricostruito nel 2004, dopo che fu fatto esplodere dai Croati 11 anni prima.

In queste terre è d’obbligo anche un passaggio da Medjugorje, per comprendere un fenomeno del quale proprio nelle scorse settimane il Vaticano ha riconosciuto “la bontà dei frutti spirituali legati all’esperienza”. La visita è occasione per conoscere meglio le dinamiche della chiesa locale ma anche le difficoltà negli anni successivi alle presunte apparizioni, in un’epoca in cui i credenti di ogni fede erano ancora perseguitati da parte dello Stato Jugoslavo (Tito era morto da un anno).

Siamo quindi tornati in Croazia, entrando nella parte più meridionale e risalendo per tutta la costa, tra paesaggi e panorami mozzafiato. Le città visitate sono di una bellezza incredibile e in alcuni casi hanno ancora molto visibili i segni delle terribili guerre degli anni Novanta: lo splendido centro di Dubrovnik (Ragusa) è stato praticamente ricostruito dopo i bombardamenti (lanciati sebbene la cittadina non avesse nessuna rilevanza strategica) dell’esercito jugoslavo che appoggiava i Serbi. Ora è invaso da folle di croceristi vogliosi di scattare selfie nei luoghi dove si è girata la serie “Il trono di spade”. Spalato racconta di una storia incredibile, iniziata da quando l’imperatore Diocleziano la scelse per costruire il palazzo dove visse fino alla morte, e nel quale si incrociano continuamente edifici storici di epoche diverse. A Zara abbiamo avuto un incontro con l’Amministrazione Comunale, seguito dalla visita al museo d’arte moderna e al centro storico, anche in questo caso ricostruito due volte dopo i bombardamenti delle guerre del Novecento. Infine la visita di Fiume (Rijeka in croato), dove si incontra una vivacissima comunità italiana (in particolare i responsabili del bellissimo Teatro nazionale di Fiume – decorato da un giovanissimo Klimt) che ci hanno raccontato con orgoglio la loro esperienza, il carattere aperto e interculturale di una città che si differenzia da una Croazia dove il nazionalismo sta tradendo una storia fatta di convivenza pacifica tra culture diverse.

L’ultima tappa ha avuto un significato particolare: il rientro in Italia è stato infatti da Gorizia, che sarà capitale europea della cultura nel 2025 e che, fino al 2004, è stata divisa da un muro che separava la parte italiana da quella slovena (Nova Gorica). Per noi ha rappresentato un auspicio per la costruzione di un’Europa dove prevalgano i ponti e non i muri, e dove l’incontro tra culture diverse possa essere la base per la costruzione di una pace duratura, e non pretesto per un ritorno a divisioni e scontri.

Roberto Toninelli
 
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