Articoli di Thomas Bendinelli sul Bresciaoggi di domenica 20 febbraio 2011
Redditi in calo per i ceti più bassi, situazione drammatica per i giovani lavoratori, donne e immigrati più poveri. È impietosa la fotografia del terzo rapporto sui redditi dei bresciani presentato ieri dalle Acli provinciali nell'auditorium degli Artigianelli.
Lo sguardo è parziale, si basa sulle dichiarazioni dei redditi raccolte dai centri di assistenza fiscale che ovviamente non posso fare una fotografia omnicomprensiva della città in tutte le sue espressioni sociali. Si tratta insomma di un'utenza popolare ma non per questo meno interessante, anzi. La ricerca presentata ieri evidenzia innanzitutto che l'81% del totale delle 35.763 dichiarazioni presentate alle Acli (circa l'11% sul totale delle dichiarazioni presentate nel 2010 in provincia di Brescia) registra un reddito inferiore ai 28mila euro lordi. Si tratta di percentuali che nel caso delle donne salgono al 90% e nel caso degli stranieri addirittura al 92%.
Il reddito medio complessivo è di 21.310 euro, 126 euro in più rispetto all'anno precedente ma di oltre 200 euro inferiore rispetto al 2008. È la solita media che tiene insieme tutti i redditi presentati. Enrando nei dettagli il quadro è ancora più grigio. Il rapporto sottolinea che nella fascia più bassa si è passati da un reddito medio di 10.267 euro del 2008 ai 9.908 del 2009 e ai 9.542 del 2010, una diminuzione del 7% in tre anni. «Posto che i redditi da pensione sono sostanzialmente fermi da alcuni anni - osserva il rapporto - si può affermare che tutta la diminuzione sia sopportata dai possessori di reddito di lavoro dipendente».
NON SOLO, come si nota anche in tabella, nella fascia più bassa la perdita di 366 euro comporta un calo percentuale del 3,7% del reddito complessivo, nella fascia più alta l'aumento di 407 euro significa una crescita percentuale nell'ordine dello 0.4 percento. «Come dire – si legge -: il ricco rinuncia ad una serata fuori in un anno; il povero alla spesa al supermercato di un mese». Il calo dei redditi è ancora più significativo tra la popolazione immigrata: gli stranieri collocati nella fascia fino a 15mila euro hanno infatti perso ben 660 euro rispetto all'anno precedente.
Le difficoltà crescenti dei ceti medio bassi sono riscontrabili anche in altri aspetti. Per quanto riguarda la proprietà della prima casa, a fronte di una media nazionale superiore al 75%, il rapporto evidenzia che in provincia di Brescia, tra chi ha redditi inferiori ai 28mila euro, la percentuale scende di oltre 10 punti percentuali. Il capitolo spese sanitarie rileva una spesa media (detraibile) di 1.003 euro che varia però dagli 894 della fascia più bassa ai 1300 euro della fascia superiore ai 55mila euro ai 1800 euro tra coloro che hanno redditi superiori ai 75mila euro. Sono le cosiddette spese incomprimibili (riscaldamento, spese per le utenze, casa) che, inevitabilmente, incidono di gran lunga di più sui redditi bassi.
MOLTO BASSO invece il numero di coloro che ha usufruito delle cosiddette badanti, anche se c'è stato un aumento di oltre il 100% dopo la sanatoria del 2009. Secondo il rapporto il dato dello 0.5% che ha una badante non è credibile e ipotizza una quota di «nero» ancora piuttosto rilevante. «Da sottolineare – si legge – che la normativa consente la detrazione fiscale del 19% su una spesa massima detraibile di 2.100 euro: tale cifra risulta assolutamente insufficiente in quanto in media la spesa si aggira intorno ai 10mila euro annui».
IL RAPPORTO decreta inoltre «il fallimento del sistema pensionistico complementare», un tema che permette alle Acli di richiamare l'attenzione sui giovani. Che sono disoccupati in un caso su tre, che quando trovano un lavoro è spesso precario e che hanno la prospettiva di una pensione inesistente o quasi. «Si stanno minando anche le basi di una pacifica convivenza sociale - si afferma nel rapporto -. Per i giovani si prospetta una situazione che se oggi è di precarietà lavorativa in futuro si trasformerà in precarietà sociale».
Una nota positiva arriva invece «dalla voglia dei cittadini di investire su uno sviluppo sostenibile», uan strada che emerge dal continuo aumento delle detrazioni per risparmio energetico presenti nelle dichiarazioni dei redditi. Per le Acli è il segno di una scommessa possibile «del rilancio anche economico del nostro Paese».
Troppo poco però, almeno per il momento: lo sguardo d'insieme è nel complesso fosco. Ieri, nel presentare il rapporto, sia il presidente delle Acli Roberto Rossini che il vice Luciano Pendoli hanno sottolineato che la stagnazione del livello reddituale impone che si inizi a parlare di «pericolo povertà» diffuso anche per quella che una volta veniva definita classe media. E da qui la necessità che «la politica intervenga in modo adeguato».
«Uno scenario desolante in cui l'Amministrazione Pubblica non si prende carico non solo delle fasce più deboli, ma della popolazione nel suo complesso».
È netto il giudizio del docente di Economia dell'università di Brescia Paolo Panteghini, invitato ieri dalle Acli per commentare il terzo rapporto sui redditi dei bresciani. Il docente parla di «società bloccata» dove a «tante parole e promesse» non segue mai nulla. E se l'economia è ferma, una vera «frustata» potrebbe darla creare le condizioni per aumentare la presenza delle donne nel mercato del lavoro. «Abbiamo uno dei tassi di occupazioni femminili più bassi d'Europa - ricorda Panteghini -: manca ogni genere di supporto e avere un figlio, per molti, rappresenta un lusso».
PER IL DOCENTE è ancor più grave che «non si avvertano segnali di inversione di tendenza» rispetto a quella che definisce «assenza di ammortizzatori sociali». Il rapporto delle Acli rileva che il reddito delle donne è minore del 3per cento rispetto a quello maschile e che questa «forbice è in continua crescita». Il rapporto richiama anche il bilancio demografico Istat quando si osserva che in Italia il numero di figli desiderati (2,2) è ampiamente al di sopra del tasso effettivo di fecondità (1,38). «In Italia – si legge nel rapporto delle Acli – circa una donna su cinque, quando diventa madre, decide di lasciare il lavoro. Per rendere concretamente realizzabile la prospettiva di sostegno alla genitorialità e all'accesso al lavoro è necessario coniugare in modo efficace le politiche delle formazione, quelle del lavoro e del welfare adottando una serie di strumenti concreti che sappiano offrire nuove e diverse possibilità di lavoro alle donne, rispettando i tempi di vita della famiglia e il valore sociale del lavoro di cura».
DA PARTE di Panteghini anche un rilievo sulla situazione degli immigrati: «Non sono “usa e getta” - afferma -, ma al di là dell'aspetto etico parlo da economista quando dico che è insensato rimpatriare bambini nati qui e che qui si stanno integrando perché i loro genitori perdono il lavoro». Sono considerazioni del sociologo Gabriele Ringhini, il quale ieri ha ricordato che negli ultimi sette anni l'Italia è cresciuta da 57 a 60 milioni di abitanti, 4 milioni 200mila dei quali sono di nazionalità non italiana (che salgono a 5 tenendo conto degli irregolari). Il contributo a questa crescita demografica è stato dato per il 5per cento dagli italiani e per il 95per cento da stranieri. Sono numeri che fanno dire a Ringhini che «il futuro della società italiana e irreversibilmente multietnico e multiculturale». Prima se ne prende atto, ha osservato Ringhini, è prima si riesce a governare con intelligenza il fenomeno.