Da "Il giornale di Brescia" di venerdì 11 ottobre 2013
Ancora pochi giorni e i riflettori dei media spegneranno la loro attenzione su Lampedusa. Nel frattempo chi ha una responsabilità indiretta in questa vicenda, ossia la legge Bossi-Fini, rimarrà indisturbata al suo posto, all'asciutto. La legge Bossi-Fini ha infatti la responsabilità indiretta di aver causato centinaia di morti, spingendo i pescatori che possono soccorrere chi è in pericolo di vita a non intervenire, per non essere denunciati per il reato di favoreggiamento della clandestinità (cosa già successa ad alcuni di loro). Come può considerarsi civile un Paese nel quale è denunciato chi cerca di salvare una vita umana?
Nessuna legge è in grado di arginare e salvare un esercito di disperati che scappano dalla guerra e da situazioni di povertà estrema. I dati Censis parlano chiaro: da quando sono cominciate le rivolte nei paesi del nord Africa, i flussi irregolari verso l’Italia sono cresciuti: nel 2011 sono giunte in Italia oltre 60mila persone, contro le 4mila del 2010. Nei primi otto mesi del 2013 si registrano già oltre 21mila migranti, di cui oltre la metà arrivati nei mesi di luglio e agosto.
È ingiusto considerare clandestino una persona che scappa da un paese in guerra, prima ancora che possa dimostrare di aver diritto allo status di rifugiato politico. Con la conseguenza (tra l’altro) di riempire le carceri italiane, che sappiamo essere in una situazione estremamente critica. Se vogliamo dare almeno un briciolo di senso a queste 350 morti, dobbiamo chiedere con forza al Parlamento che intervenga in maniera radicale su questa legge. Con la Bossi-Fini annegano i diritti. Ma non solo quelli scritti con le lettere, quelli in carne ed ossa.
Roberto Rossini
Presidente delle Acli provinciali di Brescia