È tornata sulle pagine dei grandi quotidiani la cosiddetta questione cattolica, che da tempo pareva dimenticata. Più che riguardare cosa votano i cattolici, in realtà guarda a quale ruolo hanno nell’animare la politica dopo la fine del cosiddetto “partito cattolico”, non dimenticando che anche in quella fase il contributo degli stessi alla politica non si esauriva lì, ma alimentava e promuoveva pluralisticamente iniziative sociali, culturali e associative.
La problematica è tanto più urgente se si guarda ai processi in atto con risorgenti fenomeni di nazionalismo, con l’imporsi di ideologie sovraniste e populiste, che mettono in luce la crisi del modello democratico.
È un tema da sottrarre giustamente alla polemica elettorale se si vuole introdurre una riflessione meno strumentale. Tanto più che nessuno dei partiti presenti nell’agone politico incarna l’insieme dei valori cristiani (né potrebbe essere) e la scelta fra l’uno e l’altro dei partiti e degli schieramenti sottostà a considerazioni di carattere generale che riguardano l’insieme dei problemi di cui si deve occupare la politica in uno stato laico ed è perciò frutto di valutazioni di opportunità. Certo non si possono dimenticare, in questa valutazione, i valori di fede ma occorre rifuggire da cortocircuiti integralisti che farebbero direttamente discendere da tali valori le scelte di partito.
Si diceva invece del contributo dei cattolici in termini di cultura politica, di modelli di convivenza civile e democratica. Pensiamo alla nostra Costituzione: è stata in larga parte scritta da grandi costituenti cattolici e la cultura cattolico-democratica ha largamente ispirato i passaggi delicati della nostra Repubblica e della nostra convivenza civile.
Nei decenni che abbiamo alle spalle il vertice della Chiesa italiana ha ritenuto, dopo la fine della DC, di intervenire in prima persona sulle questioni politiche, esautorando, in qualche modo, il ruolo dei laici, nel difficile dialogo culturale e politico con le realtà italiana in mutamento e con i cattolici presenti nell’uno e nell’altro schieramento. Ma ciò, indipendentemente dagli esiti non proprio brillanti di tale processo, ha finito per emarginare e ridurre ancora di più il ruolo dei laici cristiani e la vivacità dell’associazionismo cattolico.
È urgente, quindi, una ripresa di ruolo dei laici cattolici nella direzione di un apporto significativo al formarsi di una coscienza pubblica meno esposta alle spinte individualistiche e ritrovando anche uno spazio pluralistico per incidere sulla formazione delle leggi.
Infine occorre interrogarsi sulla enorme difficoltà di fare rete, di confrontarsi (senza confusione di ruoli) tra cattolici impegnati e realtà associative ed ecclesiali. Nonostante alcuni tentativi e il lavoro portato avanti da alcune associazioni, come la nostra, le ACLI, queste occasioni, stentano o non ci sono.
Vale qui la pena di riprendere il manifesto promosso dal Prof. Leonardo Becchetti con altre personalità del mondo cattolico, all’inizio di agosto: “sentiamo l’urgenza di promuovere, un’alleanza trasversale e inclusiva per connettere movimenti sociali, esperienze civiche, energie imprenditoriali, risorse intellettuali e morali e le migliori esperienze politiche locali. Un luogo politico di relazioni inclusive e di pensiero in cui poter sognare e guardare lontano come Paese insieme a quelle aree politiche del mondo che scommettono sulla pace e i diritti umani, dove le tensioni sociali vengano ricomposte con scelte concrete. Occorre costruire qualcosa di più grande, che recuperi la fiducia, ormai perduta, dei cittadini. La politica deve essere pensata nelle forme del terzo millennio, abbandonando schemi e procedure novecentesche, ormai morte per sempre.”
Non ci sono bacchette magiche, tanto più che la disaffezione alla politica ha segnato pesantemente anche le elezioni politiche generali appena tenute. Ma la strada da percorrere, se si vuole ridare un ruolo ai cattolici, per quanto lunga è questa.
Sandro Pasotti
Articolo tratto da "La voce del popolo" di giovedì 6 ottobre 2022