La micro accoglienza come possibile soluzione al problema
In queste settimane la comunità bresciana, guidata dal nuovo Prefetto, sta cercando di organizzarsi per far fronte all’ospitalità di un nuovo gruppo di profughi, che si aggiungono ai già presenti sul nostro territorio. È una situazione che viene chiamata d'emergenza, per quanto la durata sia ormai pluriennale (si pensi solo al periodo dei kosovari e degli albanesi): è davvero possibile che in tanti anni non si sia trovato un modo efficace per governare questo dramma? Alcuni rappresentanti istituzionali si limitano a ostacolare, come se ostacolare fosse una soluzione e non un aggravamento del problema. In questo modo le poche disponibilità operative per raccogliere i profughi giunte dalle nostre comunità spingono la Prefettura a organizzare la concentrazione di significativi numeri di persone in grandi strutture: si parla ormai apertamente di tendopoli o di campi. Probabilmente questa sarà l’unica possibile soluzione, a breve. I numeri non sono da esodo biblico, ma è evidente che oramai – nell'opinione pubblica – il tema sta assumendo significati che vanno ben al di là della questione tecnica, per collegarsi a paure e tentazioni che chiamano in causa il modo di governare le comunità. Interveniamo allora nel dibattito per dichiarare alcune convinzioni.
Anzitutto, sul piano pratico, ci pare che le soluzioni migliori assumano la forma dei piccoli gruppi, della diffusione sistematica presso le comunità locali. Le micro-accoglienze offrono molti vantaggi: permettono di gestire numeri assai ridotti (2-3 persone), di poter impiegare le persone in assistenza a lavori socialmente utili, di integrarle culturalmente senza particolari sforzi (gestione delle pulizie e del decoro urbano, verde pubblico, piccole manutenzioni ecc.). Attività di questo genere avrebbero anche la valenza di rendere concreta e visibile la restituzione di questo progetto a tutta la comunità. Se ogni comunità “fa la sua parte”, si crea un patto sociale che garantisce la tranquillità dell'ordine e la possibilità di gestire positivamente una situazione che è per sua natura drammatica. In questo senso non solo i Comuni, ma le comunità, le parrocchie o altre forme associative possono rispondere a ciò che succede nel mondo e nel nostro territorio. Anche noi ci siamo già attivati da tempo in questa direzione, attraverso le strutture operative che abbiamo a disposizione. È evidente che prima di ogni discorso astratto, di ogni valore non negoziabile, di ogni provocazione intellettuale vi è la necessità di fare i conti con la nostra umanità.
I profughi sono gli scarti di questo mondo, così come li definisce papa Francesco. Tocca anche alla “grande politica” pensare a come dare un assetto al Mediterraneo, che sia di pace e di convivenza responsabile.