Crisi? (Non) tocchiamo le pensioni.
Ormai da più di vent'anni, ogniqualvolta il nostro Paese si trovi in difficoltà economica, il tema della previdenza e dei suoi costi si pone all'attenzione della politica e dei suoi commentatori. Sappiamo tutti di scontare una politica previdenziale dissennata soprattutto nel campo pubblico (non dimentichiamo che stiamo ancora pagando moltissime pensioni baby di chi è andato in pensione con 15/20 anni di servizio!), ma anche nel privato non hanno aiutato i 35 anni di anzianità che non di raro si riducevano a 30 con i prepensionamenti concessi a man bassa.
Quindi, fino a non molti anni fa, la nostra spesa pensionistica era ben al di sopra della media europea nonostante la spesa complessiva per lo Stato sociale fosse inferiore a quella di molti altri Stati europei. Un graduale riequilibrio era quindi necessario ed è quanto si proposero le riforme del '92 (Ciampi) e del '95 (Dini) che, con qualche aggiustamento in itinere, raggiunsero l'obiettivo. Lo dimostra il fatto che, da qualche anno, l'Inps non solo ha raggiunto il pareggio di bilancio, ma produce anche un avanzo positivo. Per questo crediamo rappresenti un accanimento continuare a pensare di far cassa toccando le pensioni: quelle di anzianità, comunque già destinate ad esaurirsi a motivo delle riforme citate, e l'età pensionabile delle donne nel settore privato - adeguandola a quella dei colleghi maschi. Permettere alle donne di andare in pensione prima non è un favore elargito al gentil sesso da parte del «cavaliere maschio», ma il doveroso riconoscimento di un lavoro di cura che grava ancora oggi soprattutto sulle donne: ignorare questa realtà porterebbe a una scelta totalmente ingiusta. Anche perché rimaniamo convinti che in momenti difficili come questi debba essere chiesto in primis ai soggetti detentori di grandi patrimoni e ricchezze di metterne a disposizione una parte per il bene comune della nazione: prima di toccare ancora le pensioni guardiamo le statistiche, che ci ricordano di quel 10% di famiglie italiane che detiene il 42% della ricchezza totale del Paese.
Vorrei poi citare le pensioni d'invalidità, che negli ultimi tempi hanno messo in grande difficoltà concittadini colpiti da gravi patologie. Innanzitutto sottolineo i biblici tempi d'attesa del verbale di invalidità a seguito della visita collegiale della commissione: si attendono ancora i verbali di ottobre 2010! In caso di riconoscimento, l'invalido non ha comunque avuto la provvidenza economica per più di un anno e i familiari non hanno potuto usufruire dei permessi retribuiti previsti dalla legge 104 per l'assistenza.
Dal 1° settembre è possibile far domanda ex legge 104 con attestazione provvisoria da richiedere all'Asl, pur in assenza di verbale, ma nel caso di attestazione definitiva di non riconoscimento i permessi goduti devono essere rimborsati. In caso di aggravamento non è possibile procedere perché l'iter precedente non è ancora concluso. Inoltre, soggetti con gravi patologie irreversibili, già percettori di pensione, sono stati chiamati a ravvicinate visite di controllo per mettere in pratica la direttiva finalizzata a colpire i falsi invalidi. In questo modo sono i veri invalidi a dover sopportare i maggiori disagi. Perché non introdurre un filtro che eviti ulteriori umiliazioni a persone già menomate nella propria dignità dalla malattia?
Dante Mantovani
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