Un gruppo di laici ragiona da qualche tempo, in modo del tutto informale, attorno al tema delle relazioni affettive nella società attuale, in particolare con riguardo al dibattito che è in corso nel nostro stesso contesto cittadino.
Il ragionamento che ne è derivato – e che qui presentiamo – cerca di offrire una serie di riflessioni sul ruolo dell’istituto matrimoniale nella società, come pure sul significato umano della dimensione femminile e maschile anche in rapporto alla sfera dell’affettività: nel rispetto dei diversi percorsi relazionali oggi presenti, il cui darsi non deve costituire un ostacolo al dialogo.
Allo stesso tempo il testo indica come la considerazione giuridica di questa realtà complessa non possa far leva, data la materia coinvolta, su atti di carattere amministrativo.
Il documento che presentiamo costituisce un tentativo di riflessione destinato a ogni persona che avverta il senso della propria responsabilità civile, rivolta al conseguimento di quel bene comune che il Concilio Vaticano II individua nelle “condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente” (GS 26).
A questo testo aderiscono alcune persone accomunate sia dalla stessa fede cristiana, sia dal fatto di rivestire incarichi sociali, politici o accademici che consentono diversi profili di approccio alle questioni prese in esame e che, nello stesso tempo, evidenziano l’urgenza di una chiarificazione su di esse.
Offriamo questo contributo in forma integrale, affinché possa contribuire a un dibattito costruttivo.
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È parso importante a un gruppo di persone accomunate da un sentire religioso cristiano e impegnate a diverso titolo in ambito culturale, sociale e politico proporre alcune riflessioni sui problemi attualmente dibattuti, anche attraverso richieste rivolte agli enti locali, circa le convivenze non matrimoniali e la formazione dei più giovani alla vita affettiva. L’intento è quello di favorire un dialogo sereno, condotto sulla base di argomenti che possano essere ritenuti significativi oltre i confini segnati da specifici orizzonti di pensiero. Questi i punti che vorremmo sottoporre alla comune attenzione:
1. Oggi sono constatabili, più frequentemente che nel passato, forme di convivenza tra coppie diverse da quella matrimoniale: in particolare, coppie di fatto tra una donna e un uomo e, sebbene in numero molto più contenuto, coppie omosessuali. Realtà, queste, che esigono rispetto, che sono in grado di esprimere valori umani e il cui sussistere non risulta irrilevante, nei modi appropriati, dal punto di vista giuridico.
2. La tipologia delle coppie di fatto tra una donna e un uomo appare, peraltro, variegata: coppie che escludono di unirsi in matrimonio perché non attribuiscono valore a tale istituto, coppie che non intendono assumere i doveri giuridici connessi al matrimonio e a un ipotetico scioglimento del vincolo sul piano civile, coppie che non vogliono attribuire alla loro convivenza alcun carattere di stabilità, coppie che, per molte ragioni, pensano o non escludono di unirsi in matrimonio nel futuro, coppie che costituiscono una convivenza per motivi affettivi o di reciproco aiuto in età anziana.
3. In questo quadro è difficile immaginare che un numero elevato di tali coppie desideri la formalizzazione del loro rapporto, né pare, del resto, che questa possa essere imposta. Sarà da considerarsi, piuttosto, l’eventuale opportunità di un intervento legislativo il quale, in aggiunta alle specifiche norme che già danno rilievo, in diversi contesti, alle relazioni di fatto, precisi le conseguenze giuridiche che derivino dalla sussistenza di tali relazioni, specie con riguardo ai doveri che ne debbano scaturire; anche indicando i limiti in cui possano ritenersi validi eventuali accordi contrattuali stabiliti tra i membri di tali coppie.
4. Quanto s’è detto al punto precedente non riguarda in modo automatico i legami omosessuali, circa i quali non è prevista una formalizzazione giuridica del rapporto. Per cui rispetto ad essi è andata emergendo negli ultimi anni la proposta che il rilievo giuridico del legame venga ricollegato non solo al protrarsi di fatto, nel tempo, del medesimo, bensì anche, con regole proprie, a una dichiarazione resa in modo pubblico, a priori, dalle persone in esso coinvolte. Si tratta di un orientamento che va in controtendenza rispetto alla fuga da vincoli giuridici riscontrabile in molte coppie composte da una donna e da un uomo. Non può ritenersi, pertanto, che la generalità delle coppie omosessuali intenda formalizzare il rapporto, assumendo specifici doveri: così che la proposta di permettere simile formalizzazione appare orientata, in via prioritaria, a perseguire un accreditamento etico-sociale del legame che si stabilisca tra persone omosessuali.
5. In un simile contesto, la suddetta proposta è altresì utilizzata, sovente (ma non necessariamente in contesti omosessuali), come argomento per giungere a recepire in sede giuridica due affermazioni del tutto inaccettabili:
a) quella per cui l’atteggiamento sessuale sarebbe da comprendersi – e da proporre sul piano educativo – come mero effetto di una scelta soggettiva, slegata da caratteristiche predefinite della propria condizione esistenziale e, in particolare, della propria corporeità: caratteristiche cui si negherebbe in tal modo, secondo alcune accezioni della c.d. teoria del gender, qualsiasi significato ai fini dell’identità femminile o maschile (con la conseguenza di dover attendere che i più piccoli ci dicano, solo dopo una certa età e senza che, in precedenza, li si siano considerati bambine o bambini, per quale orientamento sessuale intenderebbero optare, non esclusa la possibilità della scelta di un orientamento variabile nel corso della vita);
b) quella per cui qualsiasi relazione affettiva implicante una certa stabilità di convivenza della quale la coppia interessata chieda un riconoscimento giuridico costituirebbe un matrimonio, così da dover essere regolata secondo le norme concernenti tale istituto.
6. Ora, noi riteniamo che la compresenza nella coppia, e la reciproca integrazione, del femminile e del maschile rappresentino una ricchezza inestimabile della vita umana e che, come tali, la dimensione del femminile o del maschile siano connaturate all’essere dell’individuo umano, e non l’esito di una scelta discrezionale: scelta che, in teoria, potrebbe giungere a privilegiare esclusivamente l’uno o l’altro stato, inteso come mero orientamento soggettivo. Per questo, non accompagnare i più piccoli nella scoperta e nella consapevolezza del loro essere femmine o maschi, assumendo atteggiamenti neutrali rispetto a simile caratteristica del loro essere, che essi vivono profondamente fin dalla prima fanciullezza, significherebbe creare in maniera innaturale problemi psicologici, inerenti all’identità femminile o maschile dei medesimi, che rappresenterebbero un grave vulnus nei confronti della loro dignità.
7. Ciò implica, inoltre, un serio impegno di accompagnamento educativo dei ragazzi nella costruzione della propria personalità femminile o maschile, anche in relazione al fatto che, in pochi decenni, la donna ha alquanto modificato, con un grande sforzo di affermazione delle sue doti in tutti gli ambiti della vita civile, la percezione del suo ruolo relazionale e sociale: il che ha obbligato pure i maschi a ripensare il loro ruolo. Tema, questo, che rappresenta il profilo di condivisibile validità dell’attenzione per il tema del “genere”.
8. Simili convinzioni non si pongono affatto in contrasto, ovviamente, col dovere di prestare la massima premura, psicologica e umana, verso i più giovani in cui emerga, senza essere artificialmente indotta, una non omogeneità tra le caratteristiche, o certe caratteristiche, del corpo e la percezione soggettiva rispetto alla propria femminilità o mascolinità: al fine di garantire, fra l’altro, che ciò non comporti mai discriminazioni o, comunque, offese della dignità.
9. Nel medesimo tempo, va rimarcato il dovere di educare al massimo rispetto di tutte le persone, indipendentemente dal loro atteggiamento con riguardo alla sfera dell’affettività e della sessualità e dal giudizio morale che si dia in merito a quel tipo di atteggiamento.
10. Deve peraltro considerarsi che le coppie omosessuali non necessariamente, e comunque non sempre, motivano la loro forma relazionale in rapporto a un’asserita discrezionalità circa la scelta di un partner dell’uno o dell’altro sesso, essendo frequente il caso in cui tale motivazione venga ricondotta da tali coppie a una ritenuta propria condizione personale, di carattere stabile. Il far leva, pertanto, sulle coppie omosessuali per recepire, sul piano educativo e legislativo, le summenzionate accezioni della teoria del gender appare indebito. In altre parole, costituisce una forzatura ritenere che l’omosessualità implichi assenso a orientamenti di quel tipo.
11. Ciò premesso, riteniamo che la menzionata complementarietà del femminile e del maschile in quanto caratteristica dell’umano si esprima in modo peculiare attraverso la relazione affettiva tra una donna e un uomo, la quale non a caso rappresenta il contesto proprio della generazione di nuovi esseri umani: relazione che trova il suo realizzarsi più pieno nel matrimonio, in quanto patto esteso, quantomeno programmaticamente anche dal punto di vista civile, a tutta la vita e implicante una reciproca dedizione esclusiva, senza riserve, tra i coniugi. Caratteristiche, queste, che fanno del matrimonio e della famiglia, quale sua espressione, l’istituto umano più stabile nella storia e nelle culture.
E, a tal proposito, non può non suscitare preoccupazione la tendenza a deprivare il matrimonio dei caratteri di stabilità e resistenza che lo distinguono rispetto alle mere convivenze: tendenza che trova espressione negli ormai avanzati progetti di abbassamento a pochi mesi del periodo di separazione dopo il quale è consentito chiedere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
12. Riteniamo pertanto che il matrimonio, come sopra inteso, rivesta un ruolo fondamentale dal punto di vista umano e nella comunità civile, come del resto attesta la Costituzione. Sebbene i credenti rimarchino simile ruolo assumendo la responsabilità matrimoniale anche di fronte a Dio e, dunque, celebrando il matrimonio come sacramento, tale istituto non ha una ragion d’essere solo religiosa. Per cui appare significativo per l’intera società motivare i giovani a quell’altissima manifestazione della libertà che si esprime assumendo gli impegni propri del matrimonio, in quanto contesto di piena realizzazione della loro personalità. D’altra parte, costituisce nel contempo un dovere imprescindibile aiutare i giovani nel poter addivenire al matrimonio, senza che il conseguimento di tale obiettivo – tuttora prioritario, secondo le rilevazioni statistiche, nelle loro aspirazioni – debba essere rinviato in modo innaturale per problemi concernenti l’indisponibilità di un lavoro stabile o per altre difficoltà di ordine sociale.
13. Il che fa emergere in tutta la sua urgenza prioritaria la necessità di intervenire finalmente, sul piano legislativo e non solo, con provvedimenti di sostegno ai giovani che intendono costituire una famiglia, cioè quella «società naturale fondata – secondo le parole della Costituzione – sul matrimonio», e alle famiglie stesse, specie a quelle con più figli o che sostengono l’assistenza di congiunti malati o anziani. Tenendo conto, altresì, del fatto che l’assunzione pubblica di determinati oneri ed impegni, attraverso il matrimonio, necessita di trovare riconoscimento giuridico in specifiche forme di incentivo o di aiuto. Rivolgendosi lo scorso 28 dicembre a una associazione come quella delle famiglie numerose nata proprio a Brescia, papa Francesco significativamente osservava: «Giustamente voi ricordate che la Costituzione Italiana, all’articolo 31, chiede un particolare riguardo per le famiglie numerose; ma questo non trova adeguato riscontro nei fatti. Resta nelle parole. Auspico quindi, anche pensando alla bassa natalità che da tempo si registra in Italia, una maggiore attenzione della politica e degli amministratori pubblici, ad ogni livello, al fine di dare il sostegno previsto a queste famiglie. Ogni famiglia è cellula della società […] e lo Stato ha tutto l’interesse a investire su di essa!».
14. Da quanto detto si evince l’esigenza di contrastare impostazioni con le quali s’intenda non identificare più come istituto a se stante dal punto di vista giuridico, e tale da rivestire un ruolo cardine nella costruzione della società, il patto relazionale per la vita tra una donna e un uomo in cui, da sempre, si ravvisa il matrimonio: impostazioni che si propongono, pertanto, di assimilare alla famiglia fondata sul matrimonio qualsiasi altra forma di relazionalità tra due persone avente contenuto affettivo, così che ciascuna di esse potrebbe esigere di essere giuridicamente inquadrata come matrimonio. Nonostante il rispetto che dev’essere prestato a tali forme di relazionalità e i valori che in esse possono esprimersi, esse identificano legami aventi caratteristiche diverse dal matrimonio. L’assimilazione non corrisponde alla realtà.
15. Nello stesso tempo emerge, altresì, l’esigenza di contrastare l’idea secondo la quale la generazione dei figli non costituirebbe un atto umano espressivo della relazione tra una donna e un uomo, quali genitori del figlio, bensì un mero fatto tecnico consistente nella fecondazione tra un gamete femminile e uno maschile di qualsivoglia provenienza, suscettibile di essere attuata su richiesta di chiunque desideri avere un figlio (senza, dunque, generarlo nel contesto relazionale proprio della procreazione). A sua volta, dunque, l’interrogativo sui criteri di umanità della generazione di una nuova vita non è tema di carattere religioso, ma rappresenta un nodo culturale ineludibile dinnanzi al dilatarsi delle possibilità di gestione puramente tecnica del momento generativo.
16. Ferma dunque, nel senso descritto, la non condivisibilità di qualsiasi equiparazione al matrimonio (e alla famiglia fondata sul medesimo) di relazioni personali diverse da quella matrimoniale come sopra definita e, altresì, di qualsiasi avallo legislativo dell’opinione secondo cui l’identità maschile o femminile dipenderebbe dalla scelta discrezionale di ciascun individuo, il giudizio circa l’opportunità o meno, stante le considerazioni svolte, di attribuire uno specifico rilievo giuridico non mutuato dalla normativa matrimoniale a dichiarazioni di reciproca assunzione di responsabilità nell’ambito di relazioni non matrimoniali, non potrebbe che spettare, ove il tema fosse posto in discussione, al Parlamento: trattandosi di un tema relativo allo stato delle persone, che è di competenza della legge nazionale.
17. Ogni iniziativa di carattere amministrativo che coinvolga gli enti locali o le regioni, la quale preveda adempimenti che non siano già consentiti dalla legge, appare, di conseguenza, illegittima. Iniziative di quel tipo, forzando a utilizzare anche nei confronti di relazioni non matrimoniali categorie giuridiche e diritti istituiti con riguardo al matrimonio, possono spiegarsi, del resto, solo nell’ottica di una spinta sia verso l’equiparazione tra quelle medesime relazioni e il matrimonio, sia verso la connessa prospettazione, sul piano culturale ed educativo, di una discrezionalità soggettivamente orientata circa le modalità relazionali di tipo affettivo.
Brescia, 12 gennaio 2015
Marina Berlinghieri, Anna Braghini, Michele Busi, Luciano Corradini, Luciano Eusebi, Lucia Ferrari, Anita Franceschini, Nicola Gallizioli, Guido Galperti, Mariastella Gelmini, Federico Manzoni, Marco Menni, Giuseppe Milanesi, Riccardo Montagnoli, Francesco Onofri, Luigi Pati, Margherita Peroni, Marco Quadrini, Roberto Rossini, Giuliana Sberna, Mario Sberna, Giancarlo Tamanza, Corrado Tomasi, Enzo Torri, Giuseppe Ungari