Quarta domenica di Avvento: il commento al Vangelo

Sabato 21 dicembre 2024

Riflessione di don Alfredo Scaratti a cura della Commissione Spiritualità delle Acli bresciane

Riportiamo il commento al Vangelo della quarta domenica d'Avvento (22 dicembre 2024) a cura dell'Accompagnatore Spirituale don Alfredo Scaratti. L'iniziativa è promossa dalla Commissione Spiritualità


Vangelo della domenica (Lc 1, 39-45)

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto».


Come ci si prepara al Natale?
Il Vangelo ce lo racconta attraverso l’incontro di due donne innamorate della vita: Maria ed Elisabetta!
Due donne che stanno per diventare madri. Già da sole sono promessa di futuro, ma i loro figli segneranno il futuro di un intero popolo in attesa.
Due donne ebree, segno per eccellenza dell’impossibilità umana (una, vergine, l’altra, sterile), che diventano segno della visita di Dio, unite dalla loro fede nell’incredibile.
Due donne abitate da una gioia immensa: si incontrano per condividere ciò che ha fatto sussultare il cuore, e per decifrare ciò che lo Spirito sta muovendo nella loro vita.
Maria si mise in viaggio in fretta. 
Era stata visitata dall’angelo, ora corre, lei, incinta di pochi giorni, va a visitare la cugina Elisabetta, al sesto mese di una gravidanza inimmaginabile. Sei mesi: tempo dell’imperfetto, del mancante, dell’improbabilità di sopravvivere se quel figlio fosse venuto alla luce. Un segno fragilissimo, ma sorretto da una fede nell’impossibile.
In fretta, perché “gli innamorati volano”. Hanno i passi affrettati dall'amore. Adesso è lei l’angelo, il profeta di un lieto annuncio. La fretta di Maria non ha nulla a che vedere con una visita di cortesia, non è un semplice recarsi a casa di chi, più anziana, è degna di un rispettoso ossequio. C’è la voglia di condividere la gioia, di raccontare ad Elisabetta quel che le è successo, quello che Dio ha compiuto nella sua vita. Si capiscono al volo le due donne e il bimbo, nel buio del grembo dell’anziana cugina, percepisce tutto questo: “appena il tuo saluto è giunto, il bambino ha sussultato di gioia nel mio seno”. Giovanni, nel seno materno, non aspetta iI traguardo della nascita, ma tenta di infrangere i limiti della natura: sussulta. Fa capriole di gioia!
Maria, al suo arrivo, sulla soglia di casa, è accolta da una benedizioneBenedetta... Benedetta tu che hai avuto la follia di accogliere la follia di Dio
Quanto bisogno ha la terra di liturgie di tenerezza e di benedizione celebrate sulla soglia delle case!   Quanta acredine, vittimismo, rancore e odio attorno a noi. Questa nostra povera terra, dove ogni giorno il corpo di troppe donne è straziato e usurpato senza pietà, ferito e ucciso, ha sete di incontri come questi.
Tenerezza e benedizione possano aprire anche le nostre labbra, i nostri dialoghi, e diventare un sussulto di gioia e di pace a chi condivide un pezzo di strada o la vita intera, a chi porta un abbraccio, a chi ha lavorato tanto, ha chi è segnato dalla stanchezza o dalla sfiducia del vivere.  La benedizione di Elisabetta ci ricorda che si potrà gustare la gioia solo se si apprende l’arte del dire-bene dell’altro, del leggere l’esistenza non secondo la categoria di ciò che manca, o dell’invidia/rivalità/pregiudizio, ma di quello che già c’è, sebbene tenue, timido, piccolo, umile. Rallegrarsi per il bene che c’è attorno a noi!

Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno.
Una benedizione che si allarga e raggiunge tutte le donne, tutte le madri del mondo, tutta l’umanità.    
Elisabetta comprende e annuncia a tutti il senso di questo miracolo: dar carne alla Parola di vita. Dio abita lì. Il Cielo nel ventre di due donne. È una bella provocazione per noi e le nostre comunità: riappropriarci del dono di scambiarci parole che sanno suscitare vita, che aprono alla gioia, che comunicano l’esperienza della presenza di Dio in ciascuno di noi. Comunità che non temono di mettersi in movimento, che vivono la “fretta” della passione per l’incontro, che permettono allo Spirito di circolare liberamente per aprire cuori e menti. Ci sono tante “Elisabette” che attendono tale parola: mettiamoci in viaggio. 

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