La Presidenza provinciale delle Acli Bresciane segue con estrema preoccupazione i tragici avvenimenti in Libia.
Le manifestazioni nonviolente del popolo libico contro il dittatore Gheddafi avevano creato in noi un sentimento spontaneo di partecipazione e solidarietà. Ma i successivi sviluppi hanno posto le basi per l'attuale tragedia: la violenta reazione del regime, la risposta armata dei rivoltosi, l'intervento di un'altra “coalizione di volonterosi”, probabilmente più preoccupata delle fonti energetiche del sottosuolo libico che della popolazione. Perché se veramente fosse stato a cuore il popolo schiacciato da un dittatore sanguinario e assetato di potere e denaro, ci si sarebbe preoccupati ben prima. Ricordiamo invece che Gheddafi è stato accolto con onori istituzionali imbarazzanti, baciandogli le mani. A Gheddafi sono state vendute armi, senza preoccuparsi né di avviare alcuna iniziativa politica nè di protestare verso la brutalità del regime. Da anni lo si tratta da “stretto amico”, e non solo i governanti italiani (anche se non con la stessa enfasi). Tutto ciò continua ad essere così anche verso altri Paesi, che rimangono dittatoriali ma sono interessanti dal punto di vista del mercato.
L’intervento militare per fermare la vendetta di Gheddafi era forse, a questo punto, quasi doveroso, ma manifesta allo stesso tempo le solite vecchie logiche: l’esclusivo affidamento alla irrazionalità delle armi e l’assoluto criterio delle convenienze economiche. Stiamo assistendo ad una gara, da parte di chi fino ad ora ha di fatto sostenuto e venerato Gheddafi, a chi per primo e con maggiori forze militari lo abbatterà. Paradossalmente, in questa logica, l'accusa di tradimento, fatta da Gheddafi, non sembra del tutto priva di fondamento.
Le Acli Bresciane chiedono:
che le Forze militari intervenute si limitino a colpire gli obiettivi che rendono innocua la repressione degli insorti, risparmiando i bombardamenti indiscriminati e dunque la popolazione civile che, dopo aver subito una dittatura, subisce ora la guerra;
che la politica riconquisti il suo ruolo, perché né la Nato né i volonterosi hanno l'autorità e la titolarità per condurre un'azione militare di questo tipo: il comando delle operazioni in Libia deve passare direttamente in capo all'Onu, perché solo le Nazioni Unite possono garantire la trasparenza e la legittimità internazionale di un intervento che sia davvero e solamente a scopi umanitari, senza appaltare a Paesi terzi l'applicazione delle risoluzioni.
che venga trovata una soluzione duratura e condivisa anche con i paesi dell'area mediterranea e mediorientale, in grado di garantire stabilità e democrazia per il popolo libico.