La provocazione delle Acli: «Non conviene sposarsi»

Martedì 10 settembre 2013

Da "Il Giornale di Brescia" di martedì 10 settembre 2013

La provocazione delle Acli: «Non conviene sposarsi»
Un documento in dieci punti sollecita i politici bresciani ad impegnarsi per la famiglia, oggi fiscalmente penalizzata


Un documento. Una provocazione, anzi dieci provocazioni. Alla vigilia delle 47a settimana sociale dei cattolici italiani, promossa dalle Cei e che si terrà a Torino, le Acli bresciane presentano un documento provocatorio dal titolo «10 buoni motivi per non sposarsi in Italia». Nella sostanza si tratta di un appello al mondo politico perché si faccia seriamente carico della questione della famiglia. Nella pratica gli aclisti propongono dieci punti, o meglio dieci storture fiscali che nel nostro paese favoriscono chi non è sposato rispetto a chi ha deciso di costruire una famiglia.
Il segretario provinciale delle Acli, Roberto Rossini, illustra lo spirito con cui è stato redatto il documento: «Ci occupiamo delle criticità della società quotidianamente attraverso i nostri sportelli. Siamo profondamente convinti dell’importanza della famiglia sia dal punto di vista privato, sia sotto il profilo pubblico». Rossini non usa mezzi termini: «Sposarsi in Italia in questo momento è una scelta finanziariamente estrema e per questo motivo vorremmo riportare all’attenzione dei politici bresciani alcuni punti su cui si potrebbe iniziare ad agire».
La questione è semplice come hanno spiegato i rappresentanti della direzione provinciale aclista: molte facilitazioni che in teoria vanno incontro alle fasce deboli, come madri e padri soli, di fatto penalizzano l’istituzione famiglia dal punto di vista contributivo. Spiegato in maniera ancora più diretta Fabrizio Molteni ha chiarito: «Nel nostro Paese la questione cruciale risiede nel fatto che il mancato riconoscimento fiscale delle famiglie di fatto, paradossalmente, è discriminante nei confronti delle famiglie riconosciute».
Venendo ai dieci punti su cui le Acli invitano la politica ad intervenire con norme, si parte dall’indicatore Isee. Secondo le Acli, visto che il primo passo per calcolarlo è prendere in esame un nucleo familiare che risulta anagraficamente residente nella stessa abitazione, se uno dei due coniugi ha possibilità di avere una seconda residenza l’Isee viene sballato. Peggio è la situazione per le detrazioni Irpef per i figli a carico: per chi è sposato si tiene conto del reddito di entrambi i coniugi, mentre per i conviventi il reddito tiene conto solo di uno dei due genitori. La stessa logica vale per gli assegni al nucleo familiare e secondo le Acli: «Questa situazione è chiaramente discriminatoria nei confronti di coniugi con figli rispetto a due genitori con lo stesso numero di figli, ma non sposati». E via così, di fatto lo stesso dicasi per l’esenzione dal ticket, per le iscrizioni agli asili nido comunali, per l’ingresso in graduatoria per l’assegnazione di una casa popolare, per l’accesso ai bandi regionali di sostegno all’affitto, per vedersi assegnare l’assegno sociale, per l’integrazione al trattamento minimo e maggiorazioni sociali ed infine per le pensioni di reversibilità.
Secondo le Acli dunque la sollecitazione ai politici bresciani è quella di «mettere mano alle regole, soprattutto ai fini previdenziali ed assistenziali, che appaiono datate e che seguono la logica dell’erogazione a pioggia». Una richiesta raccolta dall’on. Guido Galperti del Pd: «È un passaggio molto difficile - ha chiarito - l’idea di affermare attraverso le norme certi principi a partire dal concetto di famiglia. Dal Parlamento, in questi anni, sono arrivati segnali preoccupanti visto che ci si preoccupa dell’affermazione di altri diritti civili e non si interviene per tutelare la famiglia». Interesse per il documento manifestato anche dal consigliere regionale della Lista Ambrosoli, Michele Busi: «Cercherò di farmi carico di queste istanze al Pirellone, tenendo conto che l’attuale maggioranza, dopo i tanti proclami durante la campagna elettorale dovrebbe essere decisamente a favore delle famiglie».


Carlo Muzzi
 

 

 

 

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