Libro bianco sulla partecipazione popolare

Venerdì 5 dicembre 2014

LIBRO BIANCO sulla partecipazione popolare
Una riflessione sulla partecipazione nei Quartieri del Comune di Brescia

a cura delle Acli cittadine e provinciali di Brescia

 

DA DOVE VENIAMO

Le prime esperienze di movimento a livello di quartiere ebbero breve vita, intorno al 1967, a Lamarmora, Folzano, Chiesanuova, S. Polo, Mompiano, zone di periferia con notevoli problemi di disgregazione e isolamento dal tessuto culturale e civile della città. Furono esperienze del tutto spontanee e si spensero perché, isolate dal contesto più generale della città, non riuscirono a costituire momenti di reale confronto con l’Amministrazione comunale che, infatti, non procedette - nonostante le sollecitazioni provenienti da quei quartieri e da alcune forze politiche e sociali - al pur minimo atto di sostegno se non di riconoscimento.
Il primo gruppo di cittadini che si costituì pubblicamente come «Comitato di Quartiere», fu quello di S. Polo, con un volantino del 26 gennaio 1967 e una tavola rotonda sui problemi della frazione, tenuta l'1 febbraio, alla quale parteciparono gli assessori ai lavori pubblici e all’urbanistica. Nello stesso periodo si costituì il Comitato di Quartiere a Mompiano, durante la prima assemblea tenuta il 27 marzo 1967 con la presenza di circa 200 persone. Problemi trattati: scuola media, aree verdi e viabilità. L’organizzazione di gruppi di cittadini per sollecitare la soluzione di specifici problemi particolarmente sentiti dal proprio territorio, era già avvenuta frequentemente già negli anni 1965-66 (Borgo Trento, S. Bartolomeo, S. Polo, Mompiano, Villaggio Prealpino). Ma furono tutte esperienze brevissime, legate ad un singolo problema.
Generalmente tali iniziative furono promosse dal locale circolo Acli, ma talvolta anche dalle sezioni della Dc e del Pci. Una prima risposta istituzionale si ebbe con la costituzione di una Commissione per lo studio del problema della partecipazione e decentramento, avvenuta il 23 maggio del 1967 ad opera del gruppo consiliare democristiano.
Tra la fine del 1969 e i primi mesi del ‘70, nacquero i Comitati promotori dei Consigli di Quartiere. I Quartieri da cui partì la spinta alla creazione di questi nuovi organismi furono quelli della periferia cittadina, da Urago a S. Eufemia, da Folzano a Lamarmora, dal Don Bosco al Villaggio Prealpino. Erano quartieri costituiti, per lo più, da famiglie emarginate dal centro storico o provenienti dalla campagna. La struttura di tali quartieri, privi o quasi di servizi sociali, dimenticati fin dal loro sorgere dall’Amministrazione comunale, aveva provocato due conseguenze. Da una parte aveva favorito un incremento di consumi individuali e la chiusura entro il nucleo familiare, dall’altra - per l'evidenza del disagio provocato dalla mancanza di strutture sociali - aveva dato vita a movimenti autonomi di partecipazione e talvolta di protesta.
Vi era stata in quegli anni una generale, profonda maturazione della coscienza politica, suscitata anche dalle lotte operaie e studentesche. L’attività dei comitati promotori, con riunioni, volantini, giornaletti distribuiti porta a porta, inchieste, sollecitazioni presso il Comune, evidenziava la presenza di nuovi protagonisti e l’inizio d’una lunga battaglia sul governo della città.
Uno dei primi compiti cui si accinsero i componenti dei comitati promotori fu di elaborare uno Statuto, che chiarisse quali fossero le funzioni del nuovo organismo per regolarne la vita interna. Gli Statuti, elaborati nel Comitato, dovevano tuttavia essere approvati dall’Assemblea dei cittadini appositamente convocata. Infatti prevedevano quale organismo deliberante l’Assemblea dei cittadini la quale pertanto assumeva una funzione fondamentale nella struttura del Consiglio di Quartiere. In quasi nessuno Statuto era fissato un numero minimo di presenze perché l’Assemblea fosse ritenuta valida. Venivano invece contemplati i criteri per la sua convocazione: si esaltava così l’impegno che il Consiglio, organo esecutivo dell’Assemblea, doveva assolvere per facilitare la partecipazione popolare. Il Consiglio era diretta emanazione dell’Assemblea ed il presidente era semplice coordinatore di questo organismo esecutivo ed organizzativo. Venivano previsti tutti i casi di ineleggibilità e i motivi di decadenza automatica dei consiglieri, quali le assenze ingiustificate per tre volte consecutive, e le procedure per la revoca dei mandati da parte dell’Assemblea.
Alla fine del 1970 erano già operanti cinque quartieri (Borgo Trento, S. Eufemia, Urago Mella, Mompiano, Folzano), in altri quattro erano imminenti le elezioni (Lamarmora, Don Bosco, Villaggio Prealpino, Violino), in otto vi erano forti movimenti di partecipazione (Chiusure, Porta Venezia, Badia, S. Bartolomeo, Porta Milano, San Polo, Casazza, Chiesanuova). Un dato politicamente significativo fu la volontà unitaria, che si manifestò con la presentazione di Liste unitarie. Questo dato caratterizzò profondamente tutta l’attività del movimento durante la vicenda dell’approvazione della Delibera per il riconoscimento dei Consigli di Quartiere da parte della Amministrazione comunale.
Elezioni autogestite in assemblea si fecero in quartieri come Borgo Trento il 17 novembre 1970, Mompiano e S. Eufemia il 20 novembre 1970, Urago il 4 dicembre 1970; elezioni a suffragio universale con la partecipazione di 1700 cittadini, si tennero a Via Chiusure, in quattro turni nei diversi rioni, da febbraio a maggio del 1971. Fin da queste prime elezioni apparve elevata la capacità del movimento dei quartieri di consolidare il fenomeno della partecipazione dei cittadini, attraverso il coordinamento fra i quartieri della città, in modo da giungere al loro riconoscimento da parte del Comune.
Ben presto in realtà all’interno del movimento si manifestarono due diverse linee in merito al rapporto con l’ente locale. I sostenitori della prima concepivano i quartieri quali strumenti di pressione verso l’Amministrazione, non ritenendo che il rapporto dovesse essere formalizzato, pena la perdita della caratteristica fondamentale dei nuovi organismi, cioè la loro autonomia. Tale impostazione, rimasta minoritaria e perdente nel corso della vicenda, si opponeva all'esigenza, avanzata dalla grande maggioranza, di un reale potere nella formazione e nella gestione delle scelte del Comune. Questa «seconda linea», senza rinunciare a tutto il patrimonio di autonomia conquistato nei quartieri, chiedeva che a questi fosse riconosciuto un peso effettivo nelle decisioni del Comune, affinché il riconoscimento non si traducesse nello svuotamento dell’esperienza e dei suoi portati fondamentali.
Di fronte all’esigenza evidente di interscambio di esperienze fra i vari consigli, sia attraverso documenti sia con riunioni congiunte di commissioni specifiche per problemi comuni, si riuscì a compiere un passo in avanti con la creazione di un comitato di coordinamento fra i quartieri, avvenuta nel giugno del 1971. L'assemblea generale dei Consigli di Quartiere, in data 5 giugno 1971, chiese un «immediato riconoscimento ufficiale», sulla base di un documento in cui si chiedeva che il Comune prendesse atto dei principi che ispiravano i Regolamenti e gli Statuti che i Consigli, per mezzo delle Assemblee, si erano dati e concordasse con i Consigli di Quartiere i confini degli stessi fornendo nel contempo mezzi e strumenti per poter espletare il loro ruolo. In particolare si chiedeva l’individuazione delle sedi per le riunioni dei Consigli di Quartiere e per le Assemblee di Quartiere.
ll Consiglio comunale approvò la Delibera di riconoscimento
dei Consigli di Quartiere il 28 luglio 1972, con voto favorevole di tutti i partiti del centro-sinistra (tranne il Psdi che si astenne) e con l’astensione del Pci. Anche i liberali votarono a favore, mentre il Msi votò contro. Le attribuzioni conferite ai consigli (Titolo IV della Delibera), erano così stabilite:
• Esame e proposte in ordine ai problemi riguardanti direttamente il quartiere, tenuto conto della situazione generale del Comune, del Bilancio comunale e degli indirizzi programmatici dell’Amministrazione.
• Esame e proposte sull’espletamento dei servizi comunali e delle attività relative che abbiano diretto riferimento alle esigenze della popolazione residente nei singoli confini territoriali.
• Proposte per studi e ricerche interessanti il quartiere.
• Esame e parere, dietro richiesta dell’Amministrazione, su problemi riguardanti il quartiere.
I provvedimenti dell’Amministrazione che disattendono in tutto o in parte le proposte ed i pareri espressi dai Consigli di Quartiere (…) devono essere motivati.
Le elezioni a suffragio universale, con lista unica e con l’estensione del diritto di voto ai diciottenni, previste dalla Delibera di riconoscimento dei quartieri del 1972, si svolsero in sei tornate elettorali fra il giugno 1973 e il novembre 1974. In tutto vennero eletti 30 Consigli di Quartiere, di cui 11 con popolazione inferiore ai 5mila abitanti, 11 con popolazione compresa fra i 5mila e i 10mila abitanti e 8 con popolazione superiore ai 10mila abitanti. Le percentuali più elevate di votanti si ebbero nei quartieri a più bassa densità di popolazione.
Non è possibile esprimere precise valutazioni politiche circa i risultati elettorali, in quanto le elezioni si tennero su lista unica e non si conosceva l’orientamento politico di tutti gli eletti. Tuttavia le stime più attendibili attribuiscono circa il 30% dei seggi alla Dc, il 25% al Pci, il 6% al Psi e l’8% … agli aclisti. Tutti gli altri partiti inclusi gli extraparlamentari di sinistra si stimavano con percentuali irrisorie. Raggruppando invece, secondo il criterio dell'indipendenza, i cosiddetti “indipendenti” (aclisti inclusi), si arrivava al 35-40% (con un prevalente orientamento a sinistra).
In una intervista ad un mensile del settembre del 1973, Mario Dioni, Consigliere comunale democristiano addetto ai quartieri, dichiarava che «in un certo senso Brescia è all’avanguardia, almeno su alcuni punti», che così elencava: «1)La possibilità di autodeterminazione dei confini di ogni quartiere. Ciò non è avvenuto da nessuna altra parte... 2)Elezioni a suffragio universale. Anche questo non avviene in tutte le città... 3)Ogni quartiere può determinare il proprio Statuto».
Il periodo di validità della delibera del 1972 scadeva alla fine di novembre del 1974, contemporaneamente all’elezione a suffragio universale degli ultimi Consigli di Quartiere. Tuttavia, la prima riunione della Commissione consiliare al decentramento con i Quartieri, sull’assetto definitivo da dare agli stessi, si tenne il 5 febbraio 1975. In questa occasione i rappresentanti dei quartieri si misero d’accordo su un documento, presentato dal Consiglio di Crocifissa di Rosa, in cui si proponeva, invece di una nuova delibera, una modifica all’ultima parte di quella del 1972, relativa alle attribuzioni dei Consigli. Si chiedeva inoltre che i quartieri fossero obbligatoriamente consultati sui Bilanci e sui Piani comunali e su tutte le questioni attinenti il quartiere, sia pure in termini non vincolanti per l’Amministrazione comunale la quale, comunque, avrebbe dovuto indicare le motivazioni di eventuali provvedimenti contrari ai pareri espressi.
Malgrado la Commissione al decentramento accettasse in sostanza le proposte dei Quartieri e su tale base formulasse in seguito una ipotesi di nuova delibera, la Giunta nominò un proprio gruppo di lavoro che non operò con la necessaria tempestività tanto che si era giunti a ridosso delle elezioni amministrative senza alcuna decisione. Solamente dopo la presa di posizione di 38 Consiglieri di Quartiere, in gran parte aclisti (il 14 marzo 1975) e l’opera di pressione tenace svolta dall’Assessore al decentramento Battista Fenaroli (democristiano e aclista), insieme all’impegno dei comunisti all’interno della Commissione al decentramento, si giunse finalmente (ma con notevole ritardo) ad una ipotesi di Delibera da far esaminare ai Quartieri.
La proposta della Giunta manteneva inalterate alcune caratteristiche di fondo dell’esperienza dei Quartieri, come il loro numero (30), la durata in carica (due anni), il ruolo dell’Assemblea. Questa posizione fu assunta anche grazie alla rigorosa difesa delle richieste dei quartieri e in particolare dei «Trentotto consiglieri» svolta in Giunta dall’assessore Fenaroli. Ma i quartieri riscontravano anche molti aspetti negativi nella proposta di regolamento. Nel giro di pochi giorni si riunirono tutti i Consigli. Il 4 aprile il Coordinamento cittadino dei Consigli di Quartiere raccolse tutti gli emendamenti emersi, compresi quelli del gruppo dei «Trentotto», in un unico documento. Si chiedeva la consultazione preventiva per le licenze edilizie, la deliberatività delle Assemblee di Quartiere, l’eliminazione di molte norme burocratiche relative alla vita interna dei Consigli di Quartiere, l’introduzione dello Statuto di Quartiere, la modifica di alcune procedure di consultazione, specie sui Bilanci annuali del Comune. Queste proposte trovarono l’unanime consenso di tutti i Consiglieri di Quartiere. Dopo un ulteriore incontro con la Commissione consiliare al decentramento, in cui i rappresentanti dei Quartieri, il 15 aprile 1975, riaffermarono queste richieste in gran parte accolte, il Consiglio comunale approvò, il 30 aprile, la nuova delibera. Votarono a favore gli esponenti di tutti i partiti, salvo il Pli e Msi.
Nell'aprile del 1976 la legge nazionale sul decentramento portò ad una radicale trasformazione degli organismi di partecipazione: dai Quartieri (30) alle Circoscrizioni (9), più popolose e dotate di poteri decentrati. Oltre ai poteri consultivi già attribuiti ai Consigli di Quartiere, alle Circoscrizioni si delegarono poteri deliberativi, sia nell'ambito della gestione dei servizi pubblici (Centri socioculturali, Biblioteche decentrate, Assegnazione delle palestre a gruppi sportivi, ecc.) sia per quanto riguarda piccoli lavori pubblici su edifici comunali decentrati. In una breve transizione, dal 1978 al 1980, i consiglieri circoscrizionali vennero designati dal Consiglio comunale. Dal 1980 al 2008, i consiglieri vennero eletti dai cittadini in occasione delle elezioni amministrative. La divisione della città in 9 Circoscrizioni rimase invariata fino al 2008, quando si ridussero a 5.
Nel nostro pensiero la dimensione del quartiere è la più naturale per attivare una partecipazione attenta ai problemi reali, come ricordato nella storia dei primi Comitati di Quartiere degli anni ’60 e ’70. Eppure le circoscrizioni, pur essendo una costruzione artificiale rispetto alla struttura naturale dei quartieri, hanno comunque svolto un ruolo, pur mancando proprio in questa dimensione, che è anche e soprattutto promozione della partecipazione. La degenerazione alle logiche partitiche ne ha poi fatto perdere l’immediata riconoscibilità dei cittadini, svuotandone il ruolo riconosciuto.
Negli anni migliori le Circoscrizioni hanno svolto un ruolo di palestra formativa per coloro che volevano impegnarsi in politica e non si può negare che buona parte degli attuali consiglieri comunali provenga dall’ultima esperienza delle circoscrizioni. Ma hanno via via perso anche questo ruolo, di pari passo con l’abbandono della formazione della classe dirigente da parte dei partiti. Oggi il tema della formazione e selezione della classe politica è un problema presente non solo a livello locale, ma ancor più a livello nazionale. Si comprende, quindi, come la credibilità stessa dei partiti sia giunta ormai ai minimi storici.
Nelle ultime tornate amministrative la positività delle Circoscrizioni era lasciata per lo più alle capacità dei loro presidenti, che in qualche caso hanno ceduto alle logiche partitiche o a qualche deriva personalistica. Negli ultimi anni le circoscrizioni venivano spesso superate dalla stessa Amministrazione centrale, che le interpellava con ruolo pseudo-consultivo, ma a cose ormai già fatte, vuoi dagli stessi cittadini che si rivolgevano direttamente all’Amministrazione se non all’assessore di competenza,. A volte si rivolgevano (è capitato anche ai nostri circoli Acli) a quelle associazioni e/o comitati credibili nel quartiere, che si impegnano a dar voce alle persone comuni che altrimenti non saprebbero far sentire la loro voce.
Si può certamente ricondurre questa perdita ad un peccato originale della legge istitutiva delle circoscrizioni, la mancanza dell’Assemblea popolare, che come Acli criticammo fin da subito. Ciò dimostra la necessità fondante di tener conto del principio partecipativo quale elemento capace di attivare cittadinanza attiva.
Ricordando la storia dei Comitati di Quartiere, si fa riferimento al fatto che essi si interessarono della “soluzione di specifici problemi del quartiere, particolarmente sentiti …”, ma “furono esperienze brevi, legate al singolo problema”.
I nuovi Consigli di Quartiere vogliono andare oltre la questione temporale ed essere istituzione prossima e continuativa, perché non nata e legata ai soli problemi specifici e contingenti, ma a quelli legati all’idea della costruzione del bene comune del quartiere e della città. Prima di scegliere cosa costruire è bene chiedersi con chi costruire; questa è partecipazione, condivisione, sortirne insieme. Non quindi un ente isolato ma legato a logiche più complessive, come la coprogettazione con i cittadini e l’Amministrazione. La stessa lista unica vuole caratterizzare questo, nonché, come storicamente ricordato, la volontà unitaria nel farsi carico del quartiere e della città.


DOVE SIAMO

Le Acli hanno misurato il loro impegno negli organismi della partecipazione sempre con un unico parametro: la promozione di una cittadinanza attiva. Hanno speso molte delle proprie energie negli anni ’60 e’70 nella promozione e nella operatività dei Comitati di Quartiere per la positività del movimento partecipativo, che nasceva dal basso e che favoriva la crescita di una cittadinanza attiva per il bene comune. Anche allora, nonostante l’assessore alla partecipazione fosse Battista Fenaroli, aclista militante del circolo Acli di Cristo Re, l’autonomia delle Acli non ebbe mai appannamenti e si manifestò in una collaborazione attiva con l’Amministrazione nella stesura dei regolamenti, ma anche in una critica aperta sugli aspetti non condivisi delle decisioni assunte.
Con l’approvazione della Legge 278/76, che introdusse le Circoscrizioni, le Acli bresciane manifestarono apertamente la loro critica che trovò consensi in molte delle provincie lombarde dove esponenti bresciani furono chiamati per convegni e confronti sulla materia. Le perplessità delle Acli sui contenuti della legge si basavano su alcuni aspetti che stravolgevano l’esperienza partecipativa dei Comitati di Quartiere così come regolamentata in moltissimi Comuni italiani:

  • Il duplice ruolo di decentramento amministrativo e di promozione della partecipazione, assegnati alle Circoscrizioni con una esplicita preferenza verso il primo; sintomatica in questo senso la mancanza dell’Assemblea dei cittadini tra gli organi della Circoscrizione;
  • Il ritorno alle liste di partito con il privilegio, assegnato alle liste già presenti in Consiglio Comunale, di essere esentate dalla raccolta delle firme per la presentazione di liste alle elezioni delle circoscrizioni;
  • La concomitanza della elezione delle Circoscrizioni e del Consiglio comunale;
  • Le dimensioni delle Circoscrizioni, non certo funzionali ad una vicinanza degli organismi alla realtà del territorio e dei cittadini.

Questo giudizio critico nei confronti della Legge si tradusse a Brescia in un disimpegno delle Acli dalle Circoscrizioni, pur lasciando libertà di scelta per i propri associati che per impegnarsi in esse dovevano comunque schierarsi con un partito. Le Acli mantennero anche in questa vicenda la propria autonomia, schierandosi esclusivamente sui contenuti della Legge e dei Regolamenti comunali.
Dopo l’approvazione del provvedimento legislativo che eliminava le Circoscrizioni nei Comuni con meno di 250mila abitanti, le Acli cittadine manifestarono immediatamente il proprio pensiero in coerenza con la linea assunta e praticata dagli anni ’60 in poi, auspicando immediatamente il ritorno alla dimensione del quartiere, per privilegiare il ruolo di promozione della partecipazione dei cittadini, rispetto a qualsiasi altra finalità.
Le persone sono disponibili a mettere in gioco la propria disponibilità, il proprio tempo, le proprie potenzialità in un ambito territoriale e sociale in cui si riconoscono, in cui già vivono alcuni rapporti sociali (parrocchia, oratorio, gruppi di volontariato, associazioni, scuole…), in cui si identificano con maggiore facilità. In una dimensione più ampia tutto diventa più difficile, perché più astratto, più lontano. In un territorio ristretto come il quartiere le aspettative e i problemi sono spesso condivisi, ed è più facile costruire sintonia e allacciare rapporti, sia tra le persone sia tra le organizzazioni.
Già nella precedente Amministrazione Paroli furono molte le proposte indirizzate verso organismi territoriali di quartiere. Lo stesso vicesindaco di allora, Rolfi, dichiarò la propria propensione in questo senso, tant’è che si sperimentò l’elezione a suffragio universale della Consulta del Quartiere della Stazione, nonostante che altri della maggioranza fossero orientati ad organismi consultivi nominati dal Consiglio comunale. Anche le Acli parteciparono al dibattito inviando un documento.
All’inizio della campagna elettorale del 2013 per il rinnovo dell’Amministrazione Comunale, le Acli cittadine uscirono con un corposo documento, frutto di una approfondita e partecipata riflessione, condotta con i circoli nei due anni precedenti. Uno degli argomenti che caratterizzò tale documento fu proprio la partecipazione. Furono elaborate e presentate proposte circostanziate, che delineavano in termini precisi degli orientamenti sulla ricostruzione della partecipazione a Brescia. I punti essenziali erano questi:

  • Elezione di un Consiglio in ogni quartiere mediante suffragio universale su lista unica.
  • Costituzione di Coordinamenti di Quartiere (Tavoli tematici), promossi dal Consiglio, sulle problematiche più significative (politiche sociali, ambiente e territorio, sport, politiche giovanili…) ai quali far partecipare i rappresentanti di associazioni, gruppi, movimenti, partiti, ma anche persone singole, interessate al tema. I coordinamenti sono chiamati ad offrire un indirizzo unitario e complementare alle attività già presenti sul territorio, a promuovere iniziative comuni, a fare proposte di intervento, a gestire alcune strutture e iniziative pubbliche.
  • Il Consiglio, eletto dalla popolazione, fa sintesi rispetto alle varie tematiche, raccoglie le proposte, si raccorda e si rapporta con l’Amministrazione comunale anche attraverso la costruzione di un bilancio partecipato, convoca le Assemblee dei cittadini. La finalità del Consiglio è favorire e stimolare la partecipazione dei cittadini alla vita del quartiere e della città.
  • Agli schieramenti partitici, necessari ai livelli istituzionali della democrazia rappresentativa, devono affiancarsi altre forme di rappresentanza più diretta che favorisca una reale partecipazione popolare.

Vennero promossi incontri e confronti con i candidati e, fra i temi proposti al dibattito, quello sulla partecipazione ebbe uno spazio privilegiato proprio per la particolare sensibilità delle Acli verso questo tema, ritenuto essenziale per il miglioramento della qualità della vita nella città. Il confronto evidenziò notevoli convergenze sulla nostra impostazione, sia da parte di esponenti dell’allora opposizione che di esponenti dell’allora maggioranza.
Con il cambio dell’Amministrazione, la Giunta Del Bono si è orientata fin da subito verso l’impostazione offerta dalle Acli e nella fase delle consultazioni per la stesura del Regolamento siamo stati più volte sentiti dall’Assessore, per esprimere un nostro parere sui vari aspetti del problema.
In più occasioni, i nostri circoli hanno promosso occasioni di confronto che hanno rilevato più convergenze che divaricazioni sull’impostazione di massima. I punti su cui si registrano posizioni divaricanti sono poi gli stessi sui quali si verifica la spaccatura nell'attuale Consiglio Comunale, con una parte dell’opposizione che sceglie il boicottaggio delle stesse elezioni dei Consigli di Quartiere. Sulla prima bozza di regolamento, la Zona Acli della città si espresse in questo modo:
Le Acli salutano con favore l’avvio del percorso per “l’istituzione ed il funzionamento dei nuovi organismi di quartiere” quali strumenti necessari per la promozione della partecipazione democratica nella nostra città e condividono l'impianto complessivo del provvedimento che risulta ampiamente coerente con le idee manifestate dal nostro movimento fin dai tempi dell'introduzione, per legge, delle Circoscrizioni. Condividono in particolare:

  • L'individuazione del “Quartiere” quale dimensione territoriale idonea a promuovere la partecipazione dei cittadini alla vita della città. Il Quartiere è infatti quello spazio a dimensione umana, dove le persone si conoscono, si riconoscono e si incontrano per condividere problemi e opportunità. La partecipazione non può che svilupparsi sui problemi concreti che coinvolgono la gente nella quotidianità in uno stesso territorio.
  • L'introduzione delle “Commissioni tematiche”, che riteniamo possano contribuire a sviluppare questo clima costruttivo. Attraverso di esse pensiamo che i futuri Consigli di Quartiere possano diventare luoghi aperti in cui trovano cittadinanza tutte le istanze spontanee già presenti sul territorio, ma soprattutto quelle organizzazioni che vivono e operano con continuità perché radicate nella comunità. Se un ente al quale si riconosce ruolo di sintesi e di rappresentanza avrà la capacità di coinvolgere queste realtà vitali, riteniamo che si potrà avviare un circolo virtuoso di co-partecipazione e co-responsabilità, motivando tutti alla partecipazione.
  • La elezione dei Consigli mediante suffragio universale. Essa non può che rafforzare il grado di rappresentatività, conferendo loro un vero potere di esprimersi a nome di una comunità/collettività che si riconosce in essi. La scelta del metodo della lista unica sarà in grado di stemperare le logiche negative delle prassi partitiche che hanno contribuito al fallimento delle Circoscrizioni nel ruolo di promozione della partecipazione. Il metodo della “nomina” da parte del Consiglio Comunale rischierebbe di perpetuare tale fallimento.. Le Acli sono contrarie alla introduzione di un quorum di partecipazione per determinare la validità delle elezioni poiché si innescherebbero logiche di boicottaggio simili al meccanismo dei referendum.
  • L'estensione del diritto di voto attivo e passivo agli stranieri non comunitari che hanno scelto la nostra città per investire sul futuro delle loro famiglie, perché ci sembra vada esattamente nella direzione dell'inclusione responsabile. Una buona convivenza nasce dalla costruzione di buone relazioni di vicinato e dall’estensione a tutti della possibilità di partecipare. Avremmo preferito si evitassero limiti temporali di residenza per acquisire il diritto al voto; sarebbe infatti importante far sentire da subito, i nuovi arrivati, responsabilmente appartenenti ad un territorio e ad un tessuto sociale; comunque, alle Acli la proposta dei cinque anni di residenza pare un compromesso accettabile.
  • L'estensione del voto ai sedicenni quale segnale positivo di apertura ai giovani, un segnale di responsabilizzazione verso la cosa pubblica.
  • La sottolineatura della gratuità per tutte le funzioni degli organismi che è più che mai opportuna, perché rivaluta lo spirito di servizio verso la città che dovrebbe caratterizzare tutti i livelli istituzionali e che invece si è smarrito soprattutto negli ultimi due decenni della politica italiana.

Sottolineando la positività del metodo della costruzione partecipata di questo importante provvedimento attraverso le consultazioni assembleari nei quartieri, la Zona Acli della città ritiene di sottoporre alcuni elementi alla discussione.

  • Riguardo al sistema delle preferenze nella elezione dei Consigli, ci pare che il meccanismo previsto nella bozza di regolamento non garantisca sufficientemente la pari opportunità di genere. Non abbiamo sistemi alternativi da proporre, ma riteniamo si debba elaborare qualcosa che garantisca maggiormente la presenza della componente femminile.
  • Le linee guida non prevedono la durata in carica dei Consigli. Noi proponiamo una durata di tre anni che per un’attività di questo livello ci sembra né troppo lunga per “logorare”, né troppo breve da non rendere possibile un’esperienza che sia significativa.
  • Anche per questi livelli riteniamo sia utile porre un limite nei mandati per i consiglieri, limite che proponiamo di due mandati consecutivi.
  • La scelta di rinviare ad un provvedimento successivo la definizione dei “poteri” di questi organismi della partecipazione ci pare una scelta saggia; chiediamo però che venga seguito lo stesso percorso democratico che sta caratterizzando questa prima fase.

I circoli Acli della città saranno sicuramente impegnati a promuovere la massima partecipazione alle assemblee per la consultazione su queste linee guida. Saranno altrettanto impegnati nella fase di attuazione del provvedimento, perché ritengono fondamentale che si creino sul territorio luoghi e strumenti che favoriscano lo sviluppo di una cultura della responsabilità personale e collettiva, la cui mancanza sta alla radice della crisi politica che il nostro Paese sta attraversando.
A conclusione dell’iter, dopo il voto del Consiglio Comunale, la Presidenza della Zona Acli della città si espresse così:
la presidenza della Zona Acli della città esprime grande soddisfazione per l’avvenuta approvazione da parte del Consiglio comunale dei nuovi Consigli di Quartiere. Pur evitando qualsiasi rivendicazione di primogenitura, le Acli della città sottolineano come gli orientamenti da essa manifestati, già sul finire della precedente Amministrazione, abbiano trovato piena cittadinanza all’interno del provvedimento votato dal Consiglio comunale. In particolare la scelta del “quartiere” quale dimensione territoriale in cui costruire la partecipazione attiva dei cittadini; la elezione a suffragio universale su lista unica di candidature di singoli cittadini; l’estensione del voto attivo e passivo agli stranieri residenti in città da almeno cinque anni; la valorizzazione delle realtà organizzate sul territorio attraverso la previsione di commissioni tematiche, rappresentano le scelte principali che possono veramente riaprire una nuova fase di sviluppo della cittadinanza attiva nella nostra città. Crediamo importante non sia stato previsto alcun quorum di partecipazione al voto per la validità delle elezioni: siamo in una fase in cui la partecipazione alla vita pubblica ha raggiunto livelli bassissimi, per cui una scarsa affluenza al voto è da mettere in conto. Proprio per questo i nuovi organismi avranno come ruolo fondamentale la promozione di una rinnovata cittadinanza attiva, rendendo credibile e concreto il loro operare e questo indipendentemente dal numero di votanti.
Le Acli saranno fortemente impegnate nel favorire interesse e nel promuovere partecipazione nella fase di realizzazione delle assemblee, che dovranno raccogliere le candidature e formare le liste sulle quali avverrà il voto dei cittadini.
Nel frattempo la Zona Acli della città proporrà, tra settembre ed ottobre prossimi, un corso di formazione aperto a tutti coloro che sono interessati ad offrire un po’ del proprio tempo e del proprio impegno per l’avvio dei Consigli di Quartiere e per il loro successivo consolidamento sul territorio.

Il corso di formazione è stato attuato nel mese di ottobre con oltre quaranta iscritti per cinque incontri sui principali ambiti amministrativi del Comune: bilancio, urbanistica, servizi alla persona, partecipazione, i ruoli interni all’Amministrazione. Si pensa di riproporre l’iniziativa dopo le elezioni nel caso se ne manifestasse l’esigenza; è un servizio che le Acli pensano di poter offrire alla città.
Anche in questa vicenda le Acli hanno mantenuto fede alla propria pluridecennale scelta di autonomia dagli schieramenti partitici.
Il loro schieramento in termini di condivisione o di critica avviene sempre sui contenuti, per cui il consenso e la partecipazione attiva delle Acli alla costruzione di questi Consigli di Quartiere è assolutamente convinta.
Coerentemente con questa posizione, anche nella fase elettorale dei Consigli di Quartiere le Acli non presentano propri candidati, ma portano il proprio contributo facendo emergere dalla società civile energie nuove e giovani, volonterose di contribuire a ricostruire il rapporto tra i cittadini e tra l’Amministrazione e la politica in generale, orientandolo alla ricerca partecipata del bene comune.


DOVE VOGLIAMO ANDARE


Le oltre 500 candidature che sono arrivate, sottoscritte da oltre 5mila cittadini bresciani, dimostrano che la partecipazione rimane una ricchezza di questa città.
Certamente non è paragonabile a quella “più ruspante” degli anni '60 e '70, ma d'altra parte si deve tener conto che oggi le possibilità di partecipare alla cosa pubblica non si limitano alla rappresentanza più o meno istituzionalizzata dell'ente pubblico. Oggi si partecipa anche attraverso le migliaia di associazioni, di fondazioni e di gruppi informali che - comunque – si dedicano alla cosa pubblica. Questa è l'era della molteplicità, della pluralità: dunque i modi per partecipare possono essere molti. Qualunque modo, però, deve evitare alcuni rischi, tre in particolare.
Il primo rischio da evitare è consegnare la politica cittadina solo a chi è un “professionista” della politica, ovvero a chi (anche seriamente) da tempo (se non da sempre) si occupa di politica e, in particolare, a chi vive di politica, ovvero trae il suo reddito prevalentemente da essa. Non stiamo dando una interpretazione negativa di questo fenomeno, ma siamo convinti che non si possa fare una buona politica senza il volontariato politico, anche quello che manifesta una certa “ignoranza istituzionale”. Il secondo rischio da evitare è consegnare la politica cittadina solo a chi ha i mezzi economici e finanziari per condizionare le scelte pubbliche. Neanche in questo caso ne diamo un'interpretazione negativa, ma siamo convinti che una sana politica si misuri nel confronto tra chi ha molto e chi ha poco. Il terzo rischio è evitare consegnare la politica cittadina a chi grida di più, a chi consegna messaggi comunicativi traducendo o semplificando ideologicamente i voleri di qualche partito o di qualche gruppo di interesse. Qui, invece, ne diamo un'interpretazione negativa: il populismo di chi sollecita la “pancia” più che la “testa” ci pare distruttivo di una sana e consapevole partecipazione. È un populismo che sfrutta le armi della politica più classica, tra le manifestazioni di piazza e la raccolta di firme.
Come far sì che la partecipazione si mantenga significativa anche in futuro per scongiurare questi rischi? Per dare una risposta a questa domanda consideriamo la rete come idea-guida che spiega ciò che stiamo vivendo. Assunta questa scelta, allora proviamo a declinarla in tre possibili aree.

  1. La rete della coprogettazione e della creatività.
    Partecipare, oggi, significa un po' meno protestare e un po' più progettare. La pars destruens non può essere espulsa da un serio impegno politico, ma in questa fase di carenza di risorse e di frammentazione sociale non può prevalere rispetto alla pars construens, fatta di progettazione comune tra l'ente pubblico, l'ente privato (che sia profit o non profit, purché sia disposto a partecipare in chiave di bene comune) e il singolo cittadino protagonista. Si tratterà di una progettazione finalizzata a creare un vero e proprio welfare cittadino: una comunità che trova al suo interno le risorse per rispondere ai bisogni delle persone e delle famiglie, che sente l'appartenenza a quello che è stato definito “patriottismo municipale”. Se la libertà è partecipazione, oggi la partecipazione è (soprattutto) coprogettazione. Oggi il suffisso “co-” è decisivo, ma non per un'astrazione, ma per il fatto che molte esperienze urbane sono un fatto reale e oramai rappresentano un trend: si pensi al co-working o al co-living, che creano open space in cui innovare, tessere legami, amplificare esperienze di fiducia condivisa, scambiare idee, saperi, tempi, cose. Si tratta di una cittadinanza partecipata per un particolare obiettivo e con un certo stile di vita, con valori particolari. Si tratta di nuove forme comunitarie – di community - più o meno leggere, più o meno partecipate. Fenomeni simili esistono anche in più contesti e danno luogo ad una sharing economy che si esprime in banche del tempo, in gas (gruppi di acquisto solidali) in des (distretti di economia solidale) e altri esempi che riescono a tradurre in prassi il desiderio di creare legami, di valorizzare il micro, ovvero il territorio di appartenenza, di influenzare il macro, ovvero il modello economico (attraverso, ad esempio, il cosiddetto “voto col portafoglio”), di essere portatori di alcuni valori sociali e... di risparmiare, di essere concretamente vicini ai bisogni delle persone e delle famiglie e delle comunità.
    Si tenga anche conto che sotto le ceneri di un mondo adulto, che cerca di partecipare e si lamenta della scarsa partecipazione dei giovani, cova il fuoco di una creatività giovanile che può esprimersi in termini positivi, gestendo direttamente servizi pubblici di utilità sociale, nonché curando “pezzi disagiati” di città e offrendo responsabilità sociali, compensate con gli strumenti disponibili che, come oramai detto da più parti, oltre alla parte pubblica, contemplano il crowdfunding e la progettazione, sulla base di bandi lanciati da più enti donatori, tra cui l'Unione Europea. Si tratta di una rete che ha soprattutto il compito di connettere, di ri-legare alcuni soggetti al territorio e tra loro. In questa logica si inseriscono anche il Servizio Civile e la Leva Civica.
     
  2. La rete dell'informazione e della ricerca
    La connessione attraverso i social network è una grandissima possibilità. I media, se usati con la vecchia modalità top-down per diffondere messaggi elaborati “da terzi”, da chi professionalmente influenza l'opinione pubblica, sono un rischio. Ma se invece sono luoghi di informazione, di sana indagine sociale e di confronto orizzontale, allora diventano utilissimi nella gestione della cosa pubblica. Grazie al social networking il “vecchio” recettore si trasforma in interattore, in emittente che rilancia e rimanda ad altri in un rimbalzo potenzialmente infinito. Un'audience certamente poco prevedibile ma attiva. Strumenti come facebook, twitter, myspace, i blog e in genere i media conversazionali offrono lo strumento (e l'occasione) per partecipare.
    Non si tratta solo di una e-democracy che mette a disposizione del cittadino una serie di servizi on line e la possibilità di segnalare problemi e disservizi, inviare petizioni, essere informati sull'attività del Consiglio e della Giunta. Non è solo l'e-gov, che permette di trovare le informazioni e segnalare ciò che non va. È più il (aggiungendo una “w”) we-gov, ovvero cittadini che co-creano le politiche pubbliche portando idee più o meno creative e confrontando proposte. Questa forma di governo richiede tempo, ma soprattutto trasparenza, credibilità, curiosità, immaginazione. L'elettronica è inclusiva e a portata di tutti, soprattutto dei più giovani: non possiamo lasciare che il “campo elettronico” non sia politicamente animato in modo costruttivo e pulito. L’uso dell’elettronica può essere disponibile per tutte le età, con adeguati corsi di formazione. Alcune Amministrazioni ci credono, e lanciano bandi di idee perché in modo trasparente esibiscono un problema e chiedono ai cittadini di dare idee per risolverlo. C'è un modo anche non ideologico di risolvere i problemi, semplicemente considerandoli anche nella loro semplice natura di problema da risolvere.
     
  3. La rete istituzionale
    Infine una proposta, perché le prime due reti già ci sono, mentre questa presenta solo qualche filo non annodato. La premessa è la seguente: non possiamo trascurare il fatto che questa città esibisce un numero considerevole di persone che si giocano nelle competizioni elettorali e – una parte di esse – sarà eletta. La solitudine dell'eletto rischia di ingenerare disaffezione e una certa dose di cinismo. Ecco allora l'importanza di individuare luoghi dove il confronto sia possibile e costante, dove il dialogo fluisca in modo semplice e permetta di cogliere il “clima politico” che c'è, con quali temi, con quali accenti, con quali preoccupazioni.
    Tenere in rete gli eletti e chi partecipa nei partiti, nelle commissioni consiliari, nelle tante associazioni e gruppi che a diverso titolo si occupano del bene comune della città, è in sé un “bene comune” prezioso. Per questo riteniamo decisivo il progetto dell'urban center, perché rientra in questa logica, di permanenza, di luogo dove incontrare persone impegnate nella proposta di idee, nella consultazione di documenti e progetti... come se fosse una sorta di spazio e tempo, dove qualcuno narra, progetta, conserva, lancia idee e trova spazio... Due o tre luoghi così in città garantiscono la circolazione di idee e di relazioni sociali che vanno oltre le appartenenze partitiche o associative.
    Si tratterebbe di “fabbriche del bene comune”, che facilmente conducono a progettare anche momenti di pubblica formazione alla “cosa pubblica”. In assenza di luoghi dove si genera una classe dirigente a vocazione pubblica, ecco che diventa decisivo crearne di nuovi a vocazione pubblica e creativa. Se la persona è formata, il passaggio all'impegno diventerà meno impossibile, e garantirà alla nostra città competenza e conoscenza civile.



BRESCIA, 5 dicembre 2014

Testo curato da Maurilio Lovatti, Dante Mantovani, Luciano Pendoli, Roberto Rossini
con la collaborazione di Salvatore Del Vecchio e di Andrea Franchini.

 

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