Michele Capra, partigiano intransigente

Domenica 3 febbraio 2013

Da "Il Giornale di Brescia" di domenica 3 febbraio 2013

Michele Capra, partigiano intransigente

In un libro biografico la partecipazione alla Resistenza, la militanza sindacale alla OM e nella Cisl, la presidenza delle Acli, l’impegno nella Dc e alla Camera. Una vita coerente


È il 6 maggio 1976. Cinque giorni prima il presidente della Repubblica, Giovanni Leone, ha sciolto le Camere. Si voterà il 20 giugno, in anticipo rispetto alla scadenza. L’Italia - fra scandali, terrorismo, crisi economica, instabilità politica - vive un momento difficile della sua storia. Michele Capra ha 59 anni. È deputato uscente della Democrazia cristiana, un passato da combattivo dirigente sindacale e delle Acli, un bagaglio di esperienza maturata nel mondo del lavoro, una credibilità morale incontestata, un seguito che può garantirgli l’elezione. La terza, dopo l’esordio alla Camera nel 1968. Ma Capra prende carta e penna, scrive al segretario provinciale della Dc, Ciso Gitti, per dire che non si ricandida. «È una decisione velata senza dubbio da una nota di malinconia, ma che prendo senza perplessità, semplicemente perché è giusto che gli anziani lascino ad altri più giovani la possibilità di porre al servizio del partito le loro fresche e generose energie». Una scelta coerente con la vita di Capra, spesa per un ideale: l’ascesa morale e materiale dei lavoratori in uno Stato libero e democratico, ispirandosi alla dottrina sociale della Chiesa. Il sindacato (la Cisl), il partito (la Dc), l’associazionismo (le Acli) sono uno strumento, da usare per fini di servizio, non a scopo personale.
La lettera si trova nel libro «Michele Capra. Un partigiano intransigente», fresco di stampa, edito dalla Fondazione Civiltà Bresciana, curato da Antonio Fappani, Franco Gheza e Giovanni Capra. La biografia del- l’uomo, del dirigente, del militante, dalla nascita a Borgo Trento il 6 novembre del 1916 alla morte sulle Dolomiti per un infarto, il primo luglio 1979. Un libro-testimonianza su un protagonista del movimento cattolico bresciano del secondo dopoguerra, dalla Resistenza al Parlamento passando per le lotte sindacali alla OM. La fonte prima è il diario di Capra, che regala un racconto in presa diretta di fatti e circostanze.
La prova determinante, lo spartiacque nella sua vita è la lotta contro i nazifascisti, maturata frequentando gli ambienti cattolici. Il 12 settembre 1943, insieme a Pietro Bulloni, Andrea Trebeschi, Guido Salvadori, Leonzio Foresti, padre Carlo Manziana e Astolfo Lunardi, partecipa alla riunione in cui, di fatto, nasce la resistenza dei cattolici bresciani. Capra, dal 1942 impiegato alla Om, svolge numerosi incarichi, rischiando la vita. Il 25 aprile 1945 è davanti ai cancelli della OM per difendere la fabbrica e fondare il Comitato di liberazione aziendale. L’impegno alla OM è subito totalizzante. Come rappresentante degli operai e della Dc (sarà consigliere in Loggia dal 1946 al 1956, rivestendo anche la carica di assessore). Capra difende le posizioni sindacali e politiche dei lavoratori cattolici contro gli attacchi delle organizzazioni socialcomuniste, ma anche il diritto di esistenza di queste ultime all’interno della fabbrica, quando i dirigenti Fiat mettono in atto forme di restrizione. La libertà e la democrazia sono il faro di Capra. Epica (per tempi, modi, soggetti in campo) è la lotta (vinta) contro il premio antisciopero che ogni anno la Fiat versa agli operai che non hanno incrociato le braccia. Una lesione della dignità di ciascuno, come uomo e la- voratore, ritiene Capra, e con lui gli altri sindacalisti bresciani che riescono a trascinare nella vertenza le maestranze di Torino e a piegare la Fiat di Valletta. È il 1962. Capra, in questa lotta, ha dovuto piegare l’azienda, ma pure convincere chi raccomandava moderazione all’interno del suo stesso sindacato e del suo partito. Capra non scende a compromessi. Né in politica, né nell’azione sindacale. In una pagina del diario, il 20 marzo 1967, a proposito della vita interna della Dc, scrive: «Quanti amici di lotta hanno abbandonato la pista dell’intransigenza per imboccare quella dell’adattamento». Molti lo invitano a lasciare la strada della testimonianza per scegliere la mediazione e la spartizione dei posti per cambiare le cose dall’interno: non è giusto, scrive, «per il semplice fatto che una volta entrati nel "sistema" si viene incapsulati e a lungo andare si finisce per subire il sistema senza niente modificare».
Anche nelle Acli preferisce la sconfitta alla rinuncia delle proprie idee. Capra è presidente provinciale per quattro anni, dal 1955 al 1959. «Era convinto della funzione originaria del movimento aclista, quella della formazione e della preparazione dei lavoratori cristiani all’impegno sindacale e politico» scrivono nell’introduzione al libro gli Amici del Circolo culturale a lui intitolato. D’altra parte, però, «era altrettanto convinto che, per rendere efficace questo ruolo, le Acli dovessero impegnarsi direttamente per contribuire a superare le logiche troppe moderate della Cisl e della Democrazia cristiana». Nel partito, è il 1968, Michele Capra fonda insieme ad altri la nuova corrente di Forze Nuove, con l’idea di dare voce al mondo del lavoro. Accetta di candidarsi per la Camera alle elezioni del 19 maggio. Nel lavoro di parlamentare si spende in particolare sui temi del lavoro. Alle politiche del 7 maggio 1972 si ricandida dietro insistenza di Bruno Boni, ma soprattutto degli amici e dopo l’incontro con tanti lavoratori. «Penso che dobbiamo fare ogni sforzo - scrive il 10 marzo a Boni - per non deludere questa gente che rappresenta tanta parte del nostro elettorato e in mancanza della quale la Dc rischia di non essere più il partito democratico popolare e antifascista auspicato da De Gasperi».
Nel libro si rincorrono le batta- glie di Capra combattute, vinte o perse nel suo partito per il rinnovamento a Brescia e a Roma, specialmente nel periodo della segreteria di Benigno Zaccagnini. Al quale scrive il 12 dicembre 1976, nel pieno di una pole- mica su presunte infiltrazioni mafiose al vertice nazionale della Dc: «O facciamo politica con uomini diversi oppure - e questa è la cosa più triste che può accadere - nasce lo schifo per la politica e la convinzione qualunquistica che politica e potere siano un male».
Sono passati quasi quarant’anni, abbiamo visto la prima e la seconda Repubblica, mentre una terza non si profila: e quelle parole profetiche sono attuali. La politica è servizio a favore dei più deboli, pensava Capra. Che visse in coerenza con questo ideale.

Enrico Mirani


«Democrazia e libertà sono beni insostituibili»
Nel volume della Fondazione Civiltà Bresciana diari e scritti del protagonista


Il libro «Michele Capra. Un partigiano intransigente» fa parte della collana Cattolici&Società della Fodazione Civiltà Bresciana. Può essere richiesto alla Fondazione, in vicolo S. Giuseppe 5 a Brescia. In appendice al volume (197 pagine) viene pubblicata una serie di lettere e documenti integrali del protagonista, firmati come presidente delle Acli, sindacalista, militante e uomo politico. Nel racconto biografico, oltre ad ampi brani dei diari, anche stralci di articoli. Come questo, ripreso dal giornale di fabbrica «La voce democratica della OM», 3 marzo 1956, redatto dopo la denuncia dei crimini di Stalin da parte di Kruscev: «Noi che non abbiamo creduto a nessuna dittatura e a nessun tiranno, che la dittatura abbiamo combattuto nella Resistenza, che di niente e di nessuno ci vergogniamo, noi dobbiamo sentire in questo momento tutta la responsabilità che grava sulle nostre spalle. Responsabilità di dimostrare a tutti questi nostri fratelli ingannati ed esasperati (dal comunismo, ndr) che democrazia e libertà sono beni insostituibili e che solo attraverso la democrazia e la libertà i lavoratori italiani possono lottare e raggiungere i loro ideali di promozione economica, politica, sociale, culturale e morale».
L’11 novembre 1959 scrive agli amici di partito appena entrati nella giunta comunale di Brescia: «Ricordate che c’è un solo modo per far fronte alle molteplici difficoltà che la realtà di tutti i giorni si incarica di porre alla nostra attenzione; il modo è quello di mantenere vivacissima la carica ideale che ci assicura la forza morale dell’intransigenza contro il malcostume. Fedeltà ai principi, intransigenza morale e inflessibilità contro tutto ciò che sa di furbizia equivoca e di raggiro, devono essere la vostra caratteristica costante, sono la vostra forza». Sul diario, nell’aprile 1978, in pieno caso Moro, accanto a valutazioni politiche esprime un auspicio: «Se non accade il miracolo di diventare gente un po’ più seria (noi italiani, ndr) lasciando alle nostre spalle la cialtroneria che ci distingue, non ci riprendiamo più».
e. mir.

 

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