Nessuno escluso. Le Acli si mobilitano contro diseguaglianze e povertà

Giovedì 9 aprile 2015
Il documento delle Acli bresciane
in occasione della giornata contro la crisi
 
 
Sabato 11 aprile nelle “cento città” italiane, molte Acli provinciale saranno presenti con un pensiero o con qualche proposta per superare la crisi ed essere solidali con tutti coloro che sono senza lavoro o che non godono delle tutele necessarie a vivere una vita dignitosa. L'iniziativa si intitola “Nessuno escluso: Ridurre le diseguaglianze, eliminare la povertà per riconciliarci con il futuro”. Anche le Acli provinciali di Brescia contribuiscono con un loro documento, che prende le mosse dal tema del welfare, motore di sviluppo di una maggiore eguaglianza delle opportunità sociali.
 
Dopo anni di crisi, è doveroso non lasciarsi sfuggire l’opportunità che viene dai primi segnali positivi della ripresa economica. Proprio per questo riveste grande importanza il percorso di riforme, che sono necessarie e urgenti da tempo, che questo Governo sta cercando di mettere in atto. Ma uscire dalla crisi vuol dire anche elaborare un pensiero nuovo, capace di prospettiva, di futuro. E il coraggio della speranza può venire in primo luogo dalle persone, dalle loro relazioni, dalle comunità locali, dai corpi intermedi.
 
Le riforme non sono neutre sugli effetti della vita e della convivenza delle persone. Anche quella del welfare diventa sempre più importante, tenendo conto dei cambiamenti demografici del nostro Paese, sempre più all’insegna dell’invecchiamento, ma anche del diffondersi di nuove povertà e nuove fragilità. L’invecchiamento della popolazione mette e metterà sempre più a dura prova l’architettura del welfare italiano, sia sul piano delle risposte appropriate alle diverse fasi del ciclo di vita delle persone, sia sul piano previdenziale, dove il rischio nei prossimi anni è quello di una progressiva riduzione delle garanzie e della generosità del nostro sistema, con conseguente aumento delle sofferenze economiche e sociali, fino al rischio povertà.
 
In termini di prospettiva dobbiamo preoccuparci anche delle giovani generazioni che subiscono una discontinuità occupazionale pesante, con conseguenti difficoltà nell’accesso alla fase adulta (pensiamo anche solo alla costruzione di una famiglia e dell’autonomia economica). Quando poi raggiungeranno l’età pensionabile non avranno accumulato adeguate risorse capaci di garantire loro una vecchiaia dignitosa. Saranno altri costi a carico della collettività.
 
È necessario quindi agire sui “penultimi”, cioè su coloro che oggi hanno ancora un minimo di risorse, capacità che, se sostenute, possono evitare di cadere nel “buco” dell’assistenzialismo. Significa anche in termini di bilancio finanziario risparmiare risorse.
 
Il welfare italiano necessita di una riforma di largo respiro, che sappia unire il socio-assistenziale con il sanitario. I prossimi anni saranno cruciali per il nostro welfare chiamato a rispondere a bisogni crescenti e sempre più complessi. Un sistema per vocazione universalistico che non sia più visto come un costo, ma come un investimento; in particolare un investimento sulle persone e sulle comunità dove la territorialità dei servizi deve essere ricondotta a sistema. In questo senso va recuperato lo spirito di un sistema integrato di servizi che ha ispirato la legge 328/2000 i cui principi sono ancora oggi validi e vanno aggiornati, rilanciando soprattutto i principi e gli elementi di sussidiarietà, promuovendone gli aspetti culturali, politici e garantendone un adeguato sostegno economico. L’adeguamento va oggi visto da un lato sul versante istituzionale per legare al meglio le diverse entità, Comuni, Province, Regioni, Stato, dall’altro per legare il sociale al socio-assistenziale e alla sanità per un sistema universalistico, solidale, integrato della salute e benessere delle persone e delle comunità.
 
L’abbinamento degli interventi in campo fiscale con quelli del settore assistenziale di fatto hanno prodotto una contrazione delle risorse, demandando le responsabilità sociali agli enti locali, privandoli altresì di adeguati finanziamenti. In questo quadro si inseriscono le riforme che devono però essere capaci di dare pari opportunità e solidarietà diffusa. Sono confortanti gli sforzi in questi anni dei Sindaci, nonostante i tagli subiti dai Comuni. Le istituzioni più prossime, con l’aiuto del Terzo Settore, hanno affrontato con coraggio questa crisi e, anche se i risultati non sono sempre stati soddisfacenti, hanno dato però un contributo insostituibile soprattutto a favore della parte più debole della società, immaginandosi anche forme organizzative del tutto nuove e nuove forme di collaborazione.
 
In questo quadro va salutata con favore una riforma del welfare che privilegi l’azione dei servizi rispetto ai meri trasferimenti monetari per la semplice ragione che i servizi generano relazioni che a loro volta creano opportunità ed apertura verso l’altro. Una seria riforma deve saper mettere mano ai livelli essenziali necessari, affinché la geografia del welfare sociale non si caratterizzi, come un’organizzazione a macchia di leopardo, dove da un Comune ad un altro può cambiare l’offerta di assistenza in qualità e quantità.
 
Il miglior connubio tra riforma fiscale e assistenziale va individuato (oltre che nel principio di progressività) nel riconoscimento del principio di equità calcolato sul nucleo familiare. Oggi infatti il sistema fiscale italiano, fondato sulla tassazione individuale, penalizza a parità di reddito, le famiglie monoreddito e quelle con figli (ancor più quelle numerose). Sarebbe opportuno introdurre il concetto di tassazione negativa, assicurando i vantaggi delle detrazioni anche a chi ha redditi bassi o nulli. Qualora la povertà sia assoluta, è doveroso prevedere un reddito di inclusione sociale e politiche attive del lavoro.
 
L’equità fiscale richiede un’adeguata considerazione del ruolo sociale della famiglia e del ruolo fiscale dei figli a carico. Sarebbe questo un investimento sul futuro con conseguenze sicuramente positive anche in termini di natalità. In questo contesto si deve collocare il tema della conciliazione come un nuovo diritto per tutti: sarebbe necessario prevedere il congedo obbligatorio di paternità di 2 mesi al 70% della retribuzione; contrastare il divario retributivo di genere e le “dimissioni in bianco”; realizzare un piano di detrazioni e forme di voucher anche aziendali, meglio se inseriti nella contrattazione territoriale, per far emergere e crescere un welfare dei servizi alla persona e alla famiglia.
 
Accanto alla famiglia, la scuola. E’ necessario prevedere un sistema educativo e formativo che integra istruzione e formazione professionale, e che accompagna tutto il corso della vita.
 
Nonostante il mondo del lavoro abbia visto negli ultimi decenni e, per sua stessa natura continui a conoscere, ampie e profonde trasformazioni e modifiche, al suo interno continuano a permanere vaste sacche di disuguaglianza ed iniquità. Una delle più ingiuste, se così si può dire, è quella che attiene al divario di retribuzione che si registra, in particolare nelle grandi aziende, tra impiegati ed operai e top manager. E' necessario acquisire il principio del “giusto compenso”: fissare tetto per retribuzioni e bonus dei manager; contrattare per far crescere i salari, rilanciare la crescita dei redditi dei ceti popolari, per restituire potere d’acquisto.
La più profonda e drammatica disuguaglianza – che, anche se in maniera diversa, colpisce tutti, uomini e donne, giovani ed adulti - è però rappresentata dall’appartenenza o dall’esclusione dal mondo del lavoro. E' necessario lavorare meno per lavorare tutti, prevedendo misure per ridistribuire il lavoro, a partire da una staffetta solidale (anziani in pensione part time pre legge Fornero e ingresso part time di nuovi assunti); Eurobond e risorse per un piano straordinario per lo sviluppo e l’occupazione europea (green economy, lavoro nel welfare, cultura, agroalimentare, turismo, banda larga, mobilità sostenibile...). Per rilanciare una nuova cultura del lavoro è opportuno promuovere una cultura della responsabilità sociale nell’impresa e nella società e una gestione pubblica dei beni comuni, anche attraverso realtà di cooperazione e imprenditorialità sociale.
 
Se si vuole uscire da questo impoverimento complessivo, che non è solo economico, occorre rigenerare comunità, come capacità di ripensare ad uno stato sociale promozionale che si fondi su legami, relazioni, rapporti di prossimità e di socialità anche come risposta alle crisi del nostro vivere civile.
La disuguaglianza è un paradosso delle nostre società, le quali trovano il proprio fondamento nella sicurezza e nella diffusione del benessere: qui sta la prima origine della crisi. Allora proprio con la lotta alle disuguaglianze possiamo riconciliarci con un futuro orientato al bene comune, un futuro che esiste solo come comunità di destino di tutti, come storia di cui tutti siamo autori e non solo comparse. Tutti, NESSUNO ESCLUSO.
 
 
 
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