Secondo Report attività del Patronato
Riforme previdenziali e pensioni dal 2008 al 2015
A cura dell’Ufficio Studi delle Acli bresciane in collaborazione con il Patronato
Il servizio che il Patronato offre alla cittadinanza è di estrema utilità sociale.
Dal 2008 al 2015 un numero crescente di persone si è rivolto al Patronato Acli per avviare una o più pratiche in corrispondenza dei propri bisogni, molto probabilmente per via di un generale cambiamento del bisogno sociale e delle trasformazioni avvenute nella gestione dei rapporti del cittadino con le istituzioni.
Dal 2008 al 2015 le pratiche avviate dal Patronato bresciano sono cresciute di circa il 190%, passando da 42.356 nel 2008 a 123.171 nel 2015. Ad oggi il 30,90% delle pratiche gestibili dai patronati in provincia di Brescia è stato svolto dal Patronato Acli presso il quale posso essere patrocinate ben 780 prodotti diversi.
L’utenza del Patronato Acli, seppur sempre in prossimità del 50%, è diventata negli ultimi anni prevalentemente femminile. Il 2014 è l’anno che ha segnato un’inversione di tendenza rispetto alla cittadinanza degli utenti: il numero di pratiche intestate a persone con cittadinanza straniera è aumentato fino al 2014, mentre nel 2015 è sceso al 17,6% del totale. In termini generali si registra un relativo ringiovanimento dell’utenza fino al 2014. Aumenta la proporzione di pratiche avviate per un’utenza più giovane: le pratiche relative ai giovani tra i 19 e 32 rappresentano il 9,5% del totale nel 2015, rispetto al 4,1% del 2008. Anche le richieste inoltrate da coloro che hanno età compresa tra i 33 e i 44 anni, sono progressivamente aumentate fino a rappresentare il 12,8% del totale delle pratiche nel 2015. Nel 2015 si nota come le persone che si sono rivolte al Patronato sono tendenzialmente più anziane. In particolare la fascia degli ultra 65enni aumenta di quasi dieci punti percentuali rispetto all’anno precedente.
In questo secondo report dell’Ufficio Studi delle Acli bresciane dedicato all’attività del Patronato ci si soffermerà sulle pratiche di pensione e sugli effetti prodotti dalle riforme che in questi anni si sono susseguite (ben 8), fatto che ha notevolmente complicato il quadro (Fonti: Patronato Acli, Istat, dati Marte-Inps).
Dal 2008 al 2015 si registra un calo generale delle pratiche di pensione del 19,11% (da 2.732 a 2.210) dovuto all’inasprimento dei requisiti di accesso al pensionamento.
Le pensioni di vecchiaia sono il prodotto che nell’arco temporale interessato ha subito il calo maggiore, pari al 34,78% (da 854 a 557), dovuto all’inasprimento del requisito anagrafico. Questo, infatti, è passato da 60 anni per le donne e 65 anni per gli uomini nel 2008, a 63 anni + 9 mesi per le lavoratrici dipendenti del settore privato, 64 + 9 mesi per le lavoratrici autonome e 66 anni + 3 mesi per gli uomini e le dipendenti pubbliche nel 2015.
La pensione di anzianità e la pensione anticipata sono analizzate insieme poiché la legge 2014/2011 ha sostituito la prima con la seconda. Le pensioni di anzianità dal 2008 al 2015 sono calate del 50,27%, mentre quelle anticipate introdotte dal 2012, con un requisito (allora 41 anni e 1 mese per le donne e 42 anni e 1 mese per gli uomini) maturabile dal 2013, sono passate da 7 a 550. Complessivamente questo tipo di pensionamento dal 2008 al 2015 è calato del 17,12%.
L’innalzamento dei requisiti pensionistici e l’obiettivo della riforma Fornero di equiparare l’età della pensione di vecchiaia di uomini e donne (dal 2018 sarà di 66 anni e 7 mesi sia per le donne che per gli uomini) hanno modificato radicalmente le caratteristiche di genere. Infatti, se nel 2008 il 72% delle pensioni di vecchiaia era ottenuto dalle donne ed il 28% dagli uomini, dal 2008 al 2011 il trend è cambiato gradualmente, ricevendo un’accelerazione nel 2013, anno in cui gli uomini passano al 39%, sino ad arrivare nel 2014 al 54% e nel 2015 al 57%. Uomini e donne vanno oggi in pensione di anzianità o vecchiaia più o meno nelle stesse percentuali.
L’inasprimento dei requisiti pensionistici comporta anche l’innalzamento dell’età media di pensionamento. La fascia di età da meno di 58 anni sino a 61 anni rappresenta nel 2008 l’83,05% dei pensionamenti, tale percentuale scende al 76,42% nel 2009 mantenendosi sostanzialmente costante sino al 2012, per poi attestarsi al 51,80% nel 2013, 50,51% nel 2014 e 52,85% nel 2015.
Sul trend di genere e su quello anagrafico, è però necessario attendere che le varie salvaguardie esauriscano i propri effetti e che non siano più possibili pensionamenti in deroga alla normativa in vigore (sempre ammesso che tale rimanga considerato che dal 2008 al 2015 i requisiti di accesso alla pensione sono stati modificati da quattro provvedimenti normativi).
Per valutare gli effetti “a regime” della riforma Fornero è necessario attendere il 2018 quando, conclusa la fase transitoria, tutte le categorie di lavoratori avranno diritto alla pensione di vecchiaia a 66 anni e 7 mesi (fatti salvi i periodici agganciamenti all’aspettativa di vita).
Nel 2018 finirà il graduale innalzamento dell’età pensionabile, secondo la Riforma Fornero, e tutti i lavoratori, uomini e donne, avranno un unico requisito anagrafico di 66 anni e 7 mesi, fatto salvo l’aggancio alle aspettative di vita.
Apparentemente la Riforma omogeneizza il requisito anagrafico italiano a quello di altri paesi europei quali Germania, Francia, Gran Bretagna, nei quali si va in pensione a 67 anni, ma il riferimento italiano alla speranza di vita rende del tutto incerto ed imprevedibile la data di pensionamento, considerato il periodico aggiornamento delle Tavole di Sopravvivenza elaborate dall’Istat.
Analizzando sotto altro profilo si può inoltre affermare che la riforma concede agevolazioni, in termini di anticipo dell’età pensionabile, soltanto alle fasce di lavoratori meglio retribuiti.
La riforma concede infatti la possibilità di pensionamento a 63 anni ai lavoratori che abbiano maturato 20 anni di contributi dal 1996 in poi, ma a condizione che l’importo della pensione sia pari almeno a 2,8 volte l’Assegno Sociale; ciò significa una pensione di 1254 eu/mese corrispondente ad uno stipendio medio mensile degli ultimi 20 anni intorno ai 4000.00 eu.
La Riforma Fornero si inserisce poi in un sistema tutto italiano che vede dal 2008 ben cinque Decreti in materia previdenziale che contribuiscono a creare, oltre a notevoli complessità interpretative ed applicative, anche una sostanziale disparità di trattamento tra i lavoratori, indebolendo, tra gli altri, il principio della “certezza del diritto”.