Pubblichiamo il testo di Antonio Trebeschi in ricordo del nonno Andrea, letto durante la commemorazione del 70esimo anniversario della Liberazione.
Il giorno dell’Epifania per la nostra famiglia è un giorno particolare. E’ il giorno dell’arrivo dei Re Magi e mia nonna Vittoria, mamma di mio papà, raccoglieva immagini di raffigurazioni dei Re Magi da tutto il mondo. Il giorno dell’Epifania è un giorno nel quale cerchiamo di raccogliere la famiglia perché è l’anniversario dell’arresto del nonno Andrea, avvenuto nel 1944. Negli stessi giorni vennero arrestati anche Astolfo Lunardi ed Ermanno Margheriti, fucilati il mese successivo, Padre Carlo Manziana dei padri della Pace, don Giacomo Vender, curato di San Faustino che diventerà il parroco degli sfrattati di via Chiusure, don Remo Tonoli, Mario Bendiscioli, Pietro Molinari ed altri bresciani.
Prima Canton Mombello, poi il forte San Mattia di Verona, dove la nonna Vittoria e i due figli maggiori – mio papà e sua sorella Maria – vedono il nonno per l’ultima volta. Don Vender racconterà di averlo visto “tutto pestato nel corpo, livido del colore del pane inzuppato nel vino, ma gli occhi neri vividi, sempre di sentinella”. Il 29 febbraio 1944 dal Forte di Verona verrà deportato al campo di Dachau con il socialista Pietro Molinari e con Padre Carlo Manziana, che poi sarà vescovo di Crema e parteciperà al Concilio, dove ritroverà diversi compagni di prigionia a Dachau, come il Vescovo di Praga Cardinale Beran, che subì la prigionia anche sotto il regime comunista.
Dopo la partenza da Verona la famiglia non avrà più notizie tranne l’indirzzo di destinazione: Dachau block 25, al quale la nonna Vittoria invierà invano pacchi e numerose lettere delle quali sono conservate le minute, tradotte dalla figlia Maria in tedesco per poter essere trasmesse. Per Natale scrive:“Sarebbe troppo triste, mio carissimo, pensare a questo primo Natale trascorso così lontani l’una dall’altro col cuore oppresso da una pena così profonda, se il pensiero che Iddio nota tutto e di tutto troveremo un giorno la ricompensa non ci sostenesse. Coraggio, Andrea, lo dico a te perché mi pare sentirti dire a me altrettanto. Non era giusto che di tanta sofferenza e di tante lagrime che pesano sul mondo, noi nella serena intimità della nostra famiglia fossimo semplici spettatori. Il Signore ci ha ritenuti degni di partecipare in forma palpitante alla sua Passione. Se il dolore è segno di predilezione accettiamolo come tale. Non importa se il cuore piange. Uno dall’altro deve reciprocamente sentirsi incoraggiato ed è con la volontà di essere serena che unita ai nostri quattro bambini ti do il Buon Natale.“
La lettera non arriverà mai a destinazione e il nonno Andrea da Dachau, dopo pochi mesi, verrà trasferito al campo di Mauthausen in Austria, vicino a Linz, tristemente famoso per la terribile scala della morte, composta da 186 gradini sconnessi, dalla quale i prigionieri accedevano alla cava di pietra per i lavori forzati. L’ultima tappa a Gusen II, a pochi km di distanza, dove il 24 gennaio 1945, secondo la laconica comunicazione consegnata a Brescia il 20 marzo alla nonna Vittoria dall’ufficiale SS Priebke, è morto “per debolezza cardiaca”.
A Gusen oggi sul terreno dove sorgevano i due enormi campi di sterminio c’è un piccolo paese formato da graziose villette colorate. L’unico segno di quanto avvenuto, a ricordo delle migliaia di persone assassinate, è un forno crematorio, all’interno di un piccolo edificio circondato da un muro di cinta con la scritta MEMORIAL, voluto e realizzato da ex deportati italiani. All’interno del piccolo edificio un gruppo di bresciani alcuni anni fa, vicino alla numerose lapidi e fotografie, ha collocato una targa con incise le parole scritte dal nonno Andrea nel 1943, pochi mesi prima dell’arresto:“Se il mondo fosse monopolio dei pessimisti sarebbe da tempo sommerso da un nuovo diluvio e se oggi la tragedia sembra inghiottirci si deve alla malvagità di alcuni ma soprattutto all’indifferenza e all’egoismo della maggioranza. Il simbolo di troppa gente non ebbe fin qui che due articoli: non vi è nulla da fare; tutto ciò che si fa non serve a nulla. Ciascuno secondo le proprie possibilità e facoltà contribuisca di persona alle molte iniziative di bene spirituale, intellettuale, morale. Un mondo nuovo si elabora che sia migliore o ancor peggio dipende da noi”.
L’impegno sociale e la grande fede hanno caratterizzato l’intera vita di Andrea Trebeschi che a ventun anni aveva dato vita, con un gruppo di giovani, tra i quali l’amico coetaneo e compagno fin dalle elementari Giovanni Battista Montini - futuro Papa Paolo VI – al giornale studentesco “La Fionda” che, dal livello bresciano, si diffuse fino a diventare testata nazionale degli studenti medi cattolici; nel 1925, dopo sette anni di attività, fu costretto alla chiusura dal regime fascista, a causa delle chiare posizioni in difesa della libertà e della giustizia. Paolo VI rievocherà quell’esperienza giovanile definendola “una splendida e coraggiosa missione al servizio della verità, del progresso, del bene pubblico.”
E’ consigliere comunale a Cellatica nel 1920, si laurea in legge nel 1921, due anni dopo, a 26 anni, sposa Vittoria De Toni, dalla quale avrà quattro figli, e, nello stesso anno, viene eletto presidente della Gioventù Cattolica bresciana. Stimato e apprezzato per il grande impegno professionale, di idee aperte considerava miope la posizione spesso ostinatamente chiusa di molti cattolici e sosteneva che: “I cristiani hanno poco da difendere, qualcosa piuttosto da proporre: libertà, giustizia, solidarietà, la dignità di ogni persona senza discriminazioni.”
Era molto legato alla famiglia, alla moglie sposata diciottenne, alla quale non mancava di scrivere anche solo due righe su una cartolina ogni volta che si assentava per attività professionali o impegni nell’ambito dell’Azione Cattolica.
Nell’opuscolo “Il tuo primo incontro”, dedicato al figlio nel giorno della prima comunione, nel 1932, scrive: “Ama la Giustizia senza compromissioni, senza reticenze non escluderla mai sotto una falsa e troppo comoda prudenza, ne sotto l’ombra di una indefinita pseudo carità … Caritatevole verso gli individui, chiunque siano, sii fedele sempre alla verità e il tuo spirito chiaro e solido non si lasci tentare mai da contorsioni dialettiche o da indebolimenti etici di fronte alle inique transazioni o prepotenze. Se occorre assumi sempre dignitosamente le tue responsabilità, anche se cagione di previsti dolori. Sii giusto nelle piccole cose come nelle grandi, in tutte le tue relazioni con il prossimo, alto o basso.”
Rivolse grande attenzione all’educazione, in particolare spirituale e sociale, dei figli; a tale proposito Paolo VI lo definì “padre affettuoso e esemplare, dalla fede ardente e generosa”.
In “Preghiere e pensieri di vita cristiana” nel 1936 scrive: “A voi, miei quattro figliuoli, per i quali la mia vita ormai arde e vigila. Che Iddio sia la luce e il fuoco di ogni vostra giornata. Che nella carità di Cristo comprendiate e amiate gli uomini con bontà senza confini. Confortate i sofferenti, non colpite ma difendete; non giudicate ma perdonate; non quel che avrete ricevuto ma quel che avrete donato ritroverete e vi rimarrà nell’ora conclusiva delle vostre nozze col Cielo. La vita è intessuta di lotte e dolori formidabili, ma guardate ad essi con serenità; la virtù della speranza è la luce dell’anima. La rivolta alla croce ne moltiplica e rende orrendo il peso. La croce accettata umilmente ci solleva dall’amarezza delle nostre colpe. Non solo con il sole ma anche con la pioggia matura la spiga. Beati voi se diverrete messe matura per il Divin Mietitore.”
Fu promotore di numerose iniziative coraggise di cultura sociale e la sua casa è stata punto di riferimento per molti che mantenevano un atteggiamento critico nei confronti del fascismo. Dopo l’armistizio partecipò attivamente alla costituzione ed alle attività di sviluppo e coordinamento della componente cattolica della Resistenza bresciana.
Nell’ultimo volantino che scrisse, distribuito nel dicembre 1943, pochi giorni prima dell’arresto, si legge: “La sofferenza, la fame, i disagi finiscono di fare degli uomini dei lupi tra loro: beati quei popoli che riescono a prevenire, con l’unico mezzo efficace, la vera profonda leale solidarietà.” E ancora: “Tutte le volte che le necessità di soccorrere si fanno più gravi ed urgenti, più grave e impegnativo diventa l’obbligo morale e sociale di ognuno di sacrificare buona parte dei propri averi, o del proprio tempo, o delle proprie anche modesate possibilità: dare largamente, non briciole, ma qualcosa che costa sacrificio. La società di domani sarà come noi l’avremo oggi voluta”.
Nella nostra famiglia c’è la tradizione che, in occasione della prima comunione, ciascun figlio con i genitori vada a Mauthausen e Gusen nei luoghi dove il nonno e migliaia di altre persone hanno perso barbaramente la vita. Anch’io, a sette anni con i miei, ho visitato per la prima volta questi luoghi nei quali sono poi tornato varie altre volte, in anni e stagioni diverse, ed ho, a mia volta, accompagnato con mia moglie e mio padre i figli, in occasione della loro prima comunione.
A vent’anni con amici ho visitato il campo di Dachau, dal quale Padre Manziana e Pietro Molinari, compagni del nonno nel viaggio di andata, fecero ritorno a Brescia. Ci sono tornato lo scorso settembre, al termine del viaggio in bicicletta da Brescia a Monaco con “PER…CORRI LA PACE”, l’iniziativa, promossa dalle ACLI Provinciali con Don Fabio Corazzina, di sensibilizzazione e approfondimento sui temi della pace e della giustizia, dedicata nell’edizione 2014 a figure della resistenza europea. Un’esperienza straordinaria vissuta con mio figlio Enrico, con l’emozione particolare data dalla coincidenza della nostra età, quando abbiamo varcato la soglia del lager, con l’età che avevano mio nonno e mio padre quando si incontarono per l’ultima volta al forte san Mattia di Verona, alla vigilia della deportazione.
Nelle diverse visite ai campi ricordo tanti particolari differenti notati, pensieri e riflessioni di bambino, di ragazzo, di genitore: sul male estremo, sull’ingiustizia, sulla crudeltà, ma anche sulla giustizia, sulla libertà, sul senso stesso della vita, sulla responsabilità, sui disegni spesso indecifrabili della Provvidenza e sui semi che morendo hanno portato ed ancora oggi portano frutto.
Antonio Trebeschi