Dalla pagina delle Acli sul numero del 3 ottobre 2013 de "La voce del popolo"
Dal 46° convegno di studi ”Abitare la storia”
Serve capacità di “aspirare”
Questo è un tempo tribolato che ci porta a vivere a breve termine, senza progetti o grandi aspirazioni per il futuro.
Eppure negli ultimi 40 anni abbiamo assistito a una forte diminuzione della disuguaglianza: negli anni Settanta la metà della popolazione mondiale viveva sotto la soglia di povertà, oggi “solo” un settimo di tutti gli abitanti della terra vive con meno di 1 dollaro al giorno. Secondo stime recenti di Banca d’Italia, nel nostro Paese chi lavora controlla meno della metà della ricchezza e i pensionati sono tra le categorie economiche più solide. Nonostante le disparità, la lotta di classe che vedeva contrapposto capitale e lavoro sembra risolta, ma oggi animano le nostre piazze, reali o virtuali che siano, altre tensioni: tra chi ha una casa e chi no, tra chi ha la cittadinanza e chi la vorrebbe, tra chi lavora e chi sta cercando o non cerca più. 40 anni fa avremmo parlato di ceto popolare, intendendo un insieme omogeneo di persone che condividono lo stesso modello culturale, lo stesso stile di vita e hanno sviluppato un solido senso di appartenenza.
Oggi sarebbe più opportuno parlare di “ceti popolari”, a causa della frammentazione di questo tempo. Si è perso il riferimento alla classe operaia, e gruppi sociali, diversi tra loro per modelli culturali e sociali, sono accomunati dalla posizione di relativo svantaggio su diversi fronti, in particolare su quello economico. La vulnerabilità odierna, collegata alla carenza di sicurezza e libertà, colpisce in modo trasversale tutta la popolazione, dando una dimensione nuova alla disuguaglianza.
E` una fragilità che irrompe quando va in crisi il “contratto sociale” su cui si è retto lo sviluppo: cioè sull’incastro virtuoso tra lavoro, famiglia e welfare, i tre pilastri in grado di assicurare il benessere.
Questa società vulnerabile è in realtà una società vulnerata, ovvero colpita. Il 18% dei giovani-adulti è disoccupato, dato ancora più allarmante se pensiamo che proprio i giovani-adulti sono chiamati a porre le premesse per costruire il futuro. L’antropologo indiano Arijun Appadurai direbbe che è necessario sviluppare la “capacità di aspirare”, cioè la capacità che chiama in causa la partecipazione delle persone a dar forma al futuro, ai progetti di vita. Le aspirazioni nutrono la democrazia, e la stessa capacità di aspirare è la premessa per riconoscere la propria condizione, per prendere parola, per protestare e allearsi, per cambiare la propria vita. Per abitare la storia e migliorarla un po’.
Stefania Romano