Siamo pronte. E gli italiani?

Venerdì 7 marzo 2014

Giornata Internazionale della donna 2014
Coordinamento donne Acli Bresciane
Siamo pronte. E gli italiani?


La Giornata Internazionale della donna è stata istituita per celebrare l'impegno civico, etico e politico, che hanno caratterizzato i movimenti femminili per la dignità e i diritti delle donne nel XIX e XX secolo. Non si tratta dunque di una festa, ma di un’occasione per riflettere sui temi più urgenti della questione femminile.
Ma forse è ora di uscire da questo confine. E` giunto il momento di superare la convinzione che si tratti unicamente di una questione femminile.
La parità di genere è un obiettivo democratico e di giustizia sociale imprescindibile dal riconoscimento della dignità di ciascun essere umano. Ogni passo verso il suo raggiungimento non giova unicamente alle donne, ma alle famiglie a cui le donne appartengono, alle comunità in cui le donne vivono ed ha ricadute positive sullo sviluppo civile ed economico delle società.
I temi urgenti che come acliste ci sentiamo di portare all’attenzione oggi sono essenzialmente due: l’impegno contro la violenza sulle donne e la promozione della partecipazione femminile.
I dati presentati nei giorni scorsi dall’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) sulla violenza contro le donne mostrano cifre allarmanti: nei paesi dell’Unione europea 1 donna su tre ha subito violenza nel corso della sua vita. Questo dramma riguarda il 28% delle donne italiane. Quindi pensateci: quando andate al lavoro, in coda in automobile, in metropolitana: guardate le vostre colleghe, le vostre sorelle, le vostre amiche, le vostre mamme. Ecco: ogni 4 donne che incontrate (poco più di una su quattro in realtà), una di loro ha subito violenza.
Nel Paese in cui solo nel 1981 è stato eliminato il “delitto d’onore” come reato, registriamo 134 vittime donne, uccise nella maggior parte dei casi i delitti sono commessi nell’ambiente familiare. Ma perchè gli uomini uccidono le donne che dicono di amare? Come affermava alcuni mesi fa Laura Sabbadini (direttrice del dipartimento per le statistiche sociali e ambientali dell'Istat e membro della commissione ONU che ha definito le linee guida a livello mondiale delle indagini statistiche sulla violenza contro le donne) il nucleo della violenza contro le donne è il rapporto di potere all'interno della relazione. La violenza viene usata per ristabilire il potere maschile, è espressione del desiderio di controllo, dominio e possesso dell'uomo sulla donna. E man mano che la libertà delle donne aumenta il fenomeno diventa più grave poichè l'asimmetria è ancora più forte.
Questa osservazione aiuta a leggere anche le violenze verbali di cui sono vittime molte donne che rivestono ruoli di potere. Il caso più recente è quello della Presidente della Camera Laura Boldrini, non contestata sul piano dei contenuti politici ma schernita e aggredita verbalmente, in particolare sui social network, con insulti e allusioni volgari di natura sessuale.
Un rinnovato patto sociale tra uomini e donne non può che partire dalla consapevolezza che il non riconoscimento della dignità e il suo rispetto è un problema che riguarda tutti, nella sua genesi (la difficoltà di gestire le asimmetrie di potere di solito avviene quando gli uomini devono rispondere ad un’autorità femminile) e nella sua soluzione.
Anche in occasione dell’8 marzo, così come per la Giornata contro la violenza sulle donne dello scorso 27 novembre, le Acli bresciane aderiscono alla campagna di sensibilizzazione Posto Occupato promossa dalla Consigliera di Parità provinciale.
Se da un lato sosteniamo l’impegno nella lotta contro la violenza, dall’altro non possiamo che promuovere il ruolo delle donne nella società.
La partecipazione femminile, sia nell’ambito economico sia in quello politico, è tuttora vincolata da stereotipi persistenti circa la capacità delle donne di lavorare con efficienza (sono – anche solo potenzialmente- madri) di prendere decisioni e gestire posizioni di leadership (sono donne!) e una lunga serie di convinzioni circa quale sia il ruolo e il posto “giusto” della donna. Noi riteniamo che il posto giusto delle donne sia quello che liberamente desiderano di occupare e che giustamente si impegnano per viverlo con senso di responsabilità.
Ma quanto le donne sono veramente libere di esercitare i ruoli e le responsabilità che desiderano? Quanto spesso ancora accade che le donne vengano demansionate a seguito di una gravidanza? In Italia le donne percepiscono un salario inferiore del 7% rispetto agli uomini, benchè svolgano la stessa mansione. Le giovani donne si ritrovano in condizione di svantaggio anche nell’accesso al mercato del lavoro, ai contratti più stabili, alla crescita professionale. Situazione aggravata dal 2008 in poi, con la crisi economica. Il nostro paese continua a presentare una partecipazione economica delle donne molto bassa (1 su due non svolge lavoro regolarmente retribuito) ponendo le donne in una condizione di disparità anche dal punto di vista previdenziale.
Anche se in tempi recentissimi abbiamo assistito ad un considerevole aumento della presenza femminile negli organi di governo, ancora molto si deve fare in favore della partecipazione politica delle donne. Non solo attraverso una legge elettorale che garantisca la parità, perchè tra le questioni da considerare ci sono i percorsi che conducono all’impegno politico e l’accesso al credito (per le donne piu` difficile da ottenere) per sostenere una campagna elettorale. Inoltre i luoghi decisionali sono ancora maschili: l’80% degli incarichi istituzionali e` in mano agli uomini. Nei consigli regionali solo le donne non arrivano al 14%. Su 106 sindaci di capoluogo di provincia, le donne sono solo due.
Anche su donne&politica gli stereotipi abbondano. Da un lato ci sono quelli legati alla professione politica, per cui le donne non sono adatte alla politica e al potere, come se esistesse un unico modo di fare politica e di gestire il potere. Dall’altro torna l’assillo: come puo` assumersi responsabilita` una donna, che poi magari rimane incinta? E infatti non sono mancate le critiche per la scelta di Marianna Madia come ministro. Ancora una volta non certo sul piano politico, ma perche´ in stato di gravidanza.
Il cuore del problema della partecipazione sembra dunque essere la maternita`. Ma anche qui chiediamo un cambio di prospettiva: ci rifiutiamo di considerare la maternita` un problema! Piuttosto il problema e` rappresentato dall’incapacita` di trovare soluzioni, di supportare i percorsi e di organizzarsi (in fondo si hanno nove mesi per organizzare le deleghe di responsabilita`).
Sostenere la famiglia non significa non sostenere la partecipazione attiva!
Ma le responsabilita` familiari, lavorative e sociali sono spesso talmente vincolanti che le donne, in assenza di un sistema paese adeguatamente supportivo, si trovano costrette a rinunciare. A Brescia le dimissioni per maternita` si attestano mediamente sugli 800 casi all’anno. Ovvero 800 famiglie che rinunciano ad avere un doppio reddito, in 3 casi su 4 per difficolta` di gestire tempi di cura e tempi di lavoro. Si tratta di una tema sensibile in molti stati dell’Unione. Per questo motivo l’Unione Europea ha sancito il 2014 come l’Anno europeo della Conciliazione della Vita Professionale e Familiare, tema che come Coordinamento donne provinciale abbiamo gia` iniziato ad affrontare dallo scorso anno sociale.
Condividiamo, ovviamente, l’iniziativa ma desideriamo porre alcune fondamentali precisazioni di significato. Preferiamo infatti promuovere l’utilizzo della parola “armonizzazione”, come suggerito da Stefano Zamagni e accolto dalla nostra Responsabile nazionale Agnese Ranghelli, o alternativamente la parola “riconciliazione” (usata nei documenti in lingua inglese dell’Unione Europea), invece del termine “conciliazione”.
“Conciliare” rimanda all’idea di due o piu` entita` che normalmente non sono d’accordo o appartengono a due mondi profondamente distinti che si vuole unire. Creare, insomma, un accordo da un disaccordo. Noi invece riteniamo che famiglia e lavoro siano due dimensioni essenziali dell’esistenza della persona (uomo o donna che sia) e proprio per questo radicamento ontologico queste due sfere non sono da conciliare, ma piuttosto da ri-conciliare, da riappacificare.
Inoltre, intendiamo mettere in guardia da due ulteriori trappole solitamente implicite nella questione della (ri) conciliazione.
Innanzitutto uno dei grandi limiti deriva dal fatto di pensare a questo tema come questione unicamente femminile. Certo, riguarda gli individui, ma anche le famiglie, i contesti lavorativi, le comunità, i servizi, le istituzioni. Tra il 2012 e il 2013 le Acli bresciane, insieme a molte altre numerose realtà del territorio, hanno partecipato ad un progetto qualificante, promosso dall’Assessorato ai tempi della citta`, basato sull’assunzione di responsabilità dei diversi enti. All’interno di questo progetto abbiamo partecipato anche ad un sondaggio secondo cui, su un campione di 1000 persone, di età media di 46 anni il 40,3% giudica assolutamente insufficiente la conciliazione dei tempi famiglia lavoro: il voto medio, su una scala da 0 a 10 è di 5,7 e la maggior parte ha ridotto le proprie aspettative in campo professionale o ha rinunciato ad avere il secondo o terzo figlio. Ci piacerebbe sapere se la nuova Amministrazione comunale intende o meno continuare ad interessarsi di questo tema rivitalizzando la rete territoriale che si era costituita.
Una seconda trappola consiste nel ridurre le dimensioni da (ri) conciliare a due: famiglia e lavoro. Questo ci renderebbe miopi, e le donne che come noi sono impegnate non solo in famiglia e nel lavoro ma anche nel sociale o nella politica ben sanno che i tempi (e gli impegni) da mettere insieme non sono solo due, ma plurimi. Per questo motivo preferiamo parlare di armonizzazione dei tempi di vita.
Agnese Ranghelli, nel suo comunicato per l’8 marzo 2014, si riferisce alla sfida dell’armonizzazione dei tempi di vita come “la nuova frontiera della coesione sociale, un cambiamento a cui siamo chiamati tutti, uomini e donne, imprese e istituzioni”.
La rivoluzione culturale che sosteniamo e che cerchiamo di promuovere ogni giorno nelle nostre azioni e riflessioni si colloca in questa direzione ed è di natura antropologica e relazionale: antropologica perchè riconduce nell’essere persona l’esigenza di armonizzare le diverse sfere in cui l’esperienza esistenziale avviene. Ma è anche relazionale perchè questa armonizzazione richiede l’attivazione di tutti: in parte perchè la questione è comune in quanto comune è l’esperienza di essere persona, in parte perchè le relazioni tra i generi sono migliorabili solo se entrambi i generi si rendono parte attiva del cambiamento.
Noi siamo pronte a raccogliere la sfida del cambiamento. E gli italiani?

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