Si potrebbe ripartire da questa proposta, incompiuta, per rimettere il lavoro al centro ed al centro del lavoro la persona, tenendo conto di ogni persona e di tutta la persona, nell’ottica dell’ecologia integrale - che comprende anche il lavoro – come ci indica Papa Francesco nella Laudato Si, della quale celebriamo i 5 anni dalla promulgazione
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Partiamo dallo Statuto dei Lavoratori per rafforzare la dignità del lavoro
Roberto Rossini
Presidente nazionale delle Acli
"Esattamente 50 anni fa, il 20 maggio del 1970, veniva approvato lo Statuto dei lavoratori, una legge fondamentale che stabiliva alcune garanzie come la libertà di opinione all'interno del posto di lavoro e la possibilità di aderire ad un sindacato, oltre a prevedere misure contro i licenziamenti". È quanto afferma Roberto Rossini, Presidente delle Acli, in una nota scritta in occasione del 50esimo dello Statuto dei Lavoratori.
"Le norme, che cambiavano per sempre il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, furono il frutto di una stagione politica dove le Acli giocarono un ruolo fondamentale per far entrare 'la Costituzione nelle fabbriche' come disse l'allora Ministro del Lavoro Donat-Cattin, che portò a termine quello che aveva iniziato il suo predecessore, Giacomo Brodolini, scomparso prematuramente. Una parte importante nella realizzazione dello Statuto la ebbe anche Vittorio Pozzar, senatore della Democrazia Cristiana, già vicepresidente nazionale delle ACLI.
A 50 anni da quel periodo storico che le cronache dell'epoca riportano come l'autunno caldo, possiamo dire che lo Statuto fu prima di tutto un elemento per affermare la democrazia e diete vita ad una stagione di protagonismo dei lavoratori e delle loro organizzazioni".
"Oggi, in un ciclo economico-sociale attraversato dai grandi cambiamenti legati alla rivoluzione digitale, alla all'esplosione della pandemia, - ha concluso Rossini - valorizziamo i principi che possono trovare forme nuove ma capaci di promuovere ugualmente la dignità del lavoro. Se lo aspettano i tanti lavoratori precari, senza contratto, gli invisibili, i disoccupati che hanno il diritto ad un lavoro sicuro e dignitoso. Ed infine va difeso ancora oggi ed incoraggiato l'impegno del sindacato e dei tanti sindacalisti che proseguono una azione fondamentale per la democrazia italiana".
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Intervista a Marco Bentivogli
“Statuto dei lavoratori resta la bussola ma servono nuovi diritti”
Però due volte si è tentato di abolire o modificare l’articolo 18, e tutto questo ci richiama alla questione centrale: lo Statuto è ancora valido? Oppure come dicono in molti deve essere aggiornato dato che il lavoro è profondamente mutato, magari tenendo fermi alcuni articoli come il 3 e 4 (sul controllo del lavoratore), o il 14 e il 16 sui diritti sindacali e sul salario?
Sono contrario a gettare lo Statuto dei lavoratori alle ortiche. Non posso non pormi il problema che su 100 avviati al lavoro ogni anno, 85 non sono sprovvisti dell’articolo 18 ma di tutte le tutele previste dalla legge 300 del 1970. Bisogna ricomporre la rappresentanza del lavoro in fabbrica e attorno ad essa, questo è il lavoro più difficile da fare oggi. È impensabile pensare di inscatolare il nuovo lavoro industriale dentro i vecchi contenitori normativi. Non solo, fare otto riforme del mercato del lavoro in dieci anni ha reso lo strumento legislativo più instabile e meno affidabile. La contrattazione ha garantito maggiore stabilità. Sul controllo del lavoratore la tecnologia corre velocemente e le norme vengono aggirate. Non occorre solo ripensarle ma pensare a nuovi strumenti normativi. L’articolo 18 è stato una conquista di civiltà. Il suo impianto sanzionatorio è stato ridimensionato. Nel contratto dei metalmeccanici vi è dal 2016 il diritto soggettivo alla formazione. Sono d’accordo con chi si batte perché diventi un diritto umano. Senza sapere non non c’è libertà, ma non solo. Il sapere è l’arma più forte per tutelare e promuovere l’occupazione oggi. In Italia non si fanno bilanci delle competenze, lo chiediamo come diritto nel nuovo Contratto dei metalmeccanici insieme alla necessità che imprese e territori aggiornino sempre il loro “skill monitor”. Sapere quante e quali competenze si hanno in azienda o in un territorio è il vantaggio competitivo più importante.
L’Italia piange oltre 30mila morti a causa del Covid. Ma dopo la lunga paralisi sembra finito in pezzi anche il mondo produttivo. Che cosa insegna alle imprese questa tragedia?
Intanto la tragedia ha suonato la sveglia a chi non ha capito che il lavoro è cambiato e servono categorie analitiche completamente nuove per disegnare il nuovo lavoro. In primo luogo mi chiedo. Molte aziende vogliono tornare indietro rispetto allo smart working? Sarebbe un errore fatale. Il lavoro agile va contrattualizzato, per questo abbiamo varato delle linee guide come Fim Cisl per la contrattazione aziendale. È una grande occasione. Secondo. In Italia, giuridicamente riconosciamo il lavoro in un’autostrada a due corsie: lavoro autonomo e lavoro dipendente (subordinato). Molto spesso il nuovo lavoro, anche industriale, non è autonomo ma neanche dipendente. E servono contratti ibridi perché altrimenti lasceremo o senza diritti o con tutele solo teoriche, centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze. Terzo punto. La partecipazione dei lavoratori alla gestione strategica dell’impresa rende più forti e competitive le imprese. Abbiamo ottenuto 2 posti per i rappresentanti dei lavoratori nel futuro colosso europeo dell’auto Fca-Psa. Ma la svolta è partita in aziende molto più piccole come ad esempio Manfrotto.
Chiudiamo da dove siamo partiti. Lo Statuto non dovrebbe spingervi più celermente verso l’unità sindacale?
Lo Statuto come qualsiasi legge non aiuta processi che sono culturali. Negli anni 70 si arrivò all’unità: penso a noi, alla Flm, ma fu un percorso che partì dal ’69, l’autunno caldo, periodo in cui ci fu un fortissimo rinnovamento del sindacato. L’unità è una strategia importante. Non si fa sui giornali e anzi spesso la si disfa proprio sui media. Serve una maggiore laicità per capire che le proposte vanno discusse in modo diffuso e non lanciate a spot. Non solo, a spingerci all’unità c’è la nostra concezione di autonomia. Ancora non è patrimonio di tutto il mondo sindacale. Tra i metalmeccanici ci sono ancora molte divisioni che hanno portato ad accordi separati. Non bisogna fare solo contratti unitari, bisogna confrontarsi di più e cercare insieme approdi nuovi. Si considera ancora un reato, quando accade, dire che si è d’accordo con un’azienda, anche su un singolo punto. Mentre le convergenze con i Governi si mostrano con maggiore disinvoltura. Si è accettato che il più nobile stile sindacale fosse plasmato dalle necessità televisive di polarizzazione, proprio in un momento in cui lo stile sindacale può insegnare molto alla politica. E infine, il lavoro va deideologizzato. Ricorrere alle ideologie può essere confortevole ma oggi bisogna guardare avanti con maggiore coraggio, concretezza e spirito di frontiera. Le stagioni sindacali sono singolari, inimitabili e irripetibili. Il movimento operaio di allora riuscì a portare nei luoghi di lavoro e nelle aspirazioni un grande senso di speranza e di fiducia nel domani che mobilitò tanto impegno collettivo. Forse, proprio quello che servirebbe in un Paese che ha bisogno di ripartire migliore.
tratto da www.ilriformista.it
Francesco Lo Dico — 21 Maggio 2020