Sulla solitudine dei cattolici in Politica

Mercoledì 10 dicembre 2014

 


Ho apprezzato la lettera di Alfredo Bazoli e credo che, nella più parte, abbia ragione. I cattolici sono soli nella politica contemporanea, se non contrastando la deriva sui temi sessuali, verso cui la società postmoderna fa rotta. Mi permetto dunque di aggiungere poche cose e di fare una proposta.

Anzitutto una riflessione sul passato. Perchè la politica che i cristiani proposero negli anni '40 e '50 derivava da una lunga gestazione, capace di indicare un’originale e concreta via d’uscita tra il liberismo ottocentesco e lo statalismo novecentesco che si manifestava sotto diverse forme, tra cui il totalitarismo. Per esempio il codice di Camaldoli, pensato sul modello del codice di Malines a sua volta erede di precedenti elaborazioni europee. Figure come Paronetto, Vanoni, Moro, Dossetti, La Pira, De Gasperi e altre raccolsero una visione di mondo a lungo elaborata, traducendola in una visione politica capace d’illuminare in modo armonico (per dire) l’economia (l’economia sociale di mercato), il sociale (gli interessi collettivi tramite i corpi intermedi), la politica (i partiti di massa e la composizione parlamentare). Era una visione che collocava l’uomo in una rete di istituzioni formali e informali. Non si testimoniava semplicemente una somma di valori: si proponeva un’unitaria visione politica. Questa è stata la loro grandezza. Non è vero - come afferma qualcuno - che questi «padri» si siano confrontati con la cosiddetta questione antropologica, perchè sia i totalitarismi sia i liberismi propugnavano una certa idea di uomo. Ma il personalismo ha fornito le basi per un pensiero capace di superare entrambi gli estremismi e di tradursi in mediazione politica. Oggi il quadro è più complessa. Da qui la scelta di alcuni cristiani di stare sui temi sessuali (non chiamiamoli etici: anche il tema fiscale ha una sua eticità!), una scelta che corrisponde a qualche particolare sensibilità verso la questione antropologica. E` anche questo un nobile percorso. Ma in assenza di un profilo sociale e politico - di una visione di società, di cittadinanza, ovvero di ciò che chiamiamo questione sociale - si rischierà di riproporre un mondo che non c’è più. Invece dobbiamo prendere atto che tante situazioni sociali sono in fase di crisi e di mutamento: ciò che manca è un profilo interpretativo unitivo, capace di spiegare cosa tenga insieme il mutamento della famiglia con il lavoro, il fine vita, l’università o il mal di vivere... Io credo che se nel Novecento lo scacchiere su cui giocarsi la partita della libertà umana sia stata la politica, oggi invece sia l’economia.

Non a caso il Papa, nell’Evangelii gaudium, dichiara senza mezzi termini che questa economia uccide. Non si limita a dire di un rischio, dichiara una certezza. Se è così, allora per i cristiani è decisivo (e simbolico) occuparsi di temi quali la giustizia fiscale, la tutela sostanziale dei lavoratori e delle famiglie, la povertà e l’inclusione, il rilancio delle comunità (non a caso oggi si rilegge Olivetti), il tema del risparmio e delle istituzioni finanziarie, gli stili di vita e gli scarti (anche umani). Questa economia è in realtà una forma mentis. Per questo assumiamo con linguaggi economici temi quali la scuola o il rapporto tra le persone (la famiglia!) e perfino la politica. Si pensi a modelli leaderistici, ai partiti trasformati in efficienti macchine elettorali e così via. Questo forma d’economia - che non è più il sano capitalismo descritto dai maestri di questa prassi - ha più ricadute spirituali e relazionali che materiali... Ormai è una vera e propria cultura.

Se vogliamo «stare nel tempo» non possiamo limitarci a dire dei no o dei sì a ciò che capita a questo mondo. Dobbiamo affrontare la questione economica: con particolare attenzione alla dimensione europea, perchè l’Europa è il nostro destino. Sul piano della proposta occorrerà ricreare le condizioni per studiare insieme la realtà e immaginare come declinare un pensiero che ha una tradizione e la forza di una grande saggezza. Occorre creare dei centri studi, capaci di andare al di là dell’analisi e di proporre qualche sintesi adeguata ai nostri tempi. Poi arriverà anche la rappresentanza politica. Una precisazione: studiare, per chi si occupa di politica, significa mettere insieme il tempo della riflessione con il tempo da dedicare nelle vie, nelle piazze e nei circoli per far crescere la formazione e per cogliere il nesso tra fragilità e diritti. La politica riguarda sempre i molti. Lo dico solo per ricordare - con il Papa - che la realtà è sempre superiore all’astrazione della realtà. Così alla maggior solitudine (siamo tutti un po’ più soli) si potrà rispondere con proposte sulle questioni vere e popolari del nostro tempo, quelle dove ci sono i molti.

Roberto Rossini
Presidente provinciale Acli Brescia

 

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