Urago Mella, dalle Acli tra i pensionati del popolo

Venerdì 31 agosto 2012

Da Il Giornale di Brescia di venerdì 31 agosto 2012 (pagina 17)

 

Urago Mella, dalle Acli tra i pensionati del popolo

Beppe, una famiglia di aclisti: «Sogno un Vangelo vissuto nella fabbrica». Piove, ma la gente arriva lo stesso

Andateci, se potete, alla festa delle Acli a Urago Mella, passerete un portone grande di legno e vi troverete dentro una specie di fortezza, 11 tende verdi, 2 porticati paralleli e in mezzo una corte dove si danza e si ragiona avanti e indietro, se si vuole.
Troverete la perfetta somiglianza ideale tra la facciata della Pieve e la festa delle Acli, per la ragione, ci spiegava l’Augusto delle colline, 50 anni precisi, che la Pieve e la gente aclista sono uguali dentro e fuori, netti dentro e fuori, semplici di una semplicità che rischia di non essere vista. Come se gli aclisti di Urago, gli operai e gli insegnanti, gli impiegati, oggi quasi tutti pensionati fossero stati archiviati dalle grida mediatiche di questi giorni sballati.
E` bella, Urago Mella, ed è una rima che lasciamo apposta, per far rabbia a chi toglie le cose che nascono così, proprio come la spontaneità di questa gente. Di queste Acli, che Luigi Frati, 40 anni di fabbrica e 50 anni di tessera, come Cassiano Montagnini, ci spiegano con l’umiltà di una storia a bassa voce. Immaginate 40 anni di fabbrica, anni Sessanta, famiglie migranti, morose promesse spose, collina gratis, senso di paese con «l’idea che il Vangelo si porti in fabbrica», ci spiega adesso con la forza di un gigante che dimostra metà dei suoi anni e porta il figlioletto alla festa, l’aclista Beppe Marelli, aclista il padre Alessandro e forse, presto, aclista il ragazzo lungo e simpatico di una magrezza, perchè no, aclista.
Proprio Beppe Marelli estrae la pistola che fa centro, la frase che mette insieme la storia bresciana e nazionale delle Acli, congiunge i nomi noti e poco noti ai giovani, i Montini e i Faini, i Lussignoli, «lui, deputato operaio - dice Frati - si vede sempre alla Messa di domenica» e potremmo aggiungere nomi di nostri amici che diverrebbero rossi rossi per un anno. Sbagliamo a non scriverli. La frase è quella: «Sono aclista per la convinzione che il Vangelo entri in fabbrica». Paragonate, se potete ad altre frasi di oggi.
E` la primissima festa delle Acli a Urago Mella, di un’Acli locale ed ecco che dopo due mesi piove. E se non fosse per l’offesa alla danza e ai canti del Burkina Faso, potremmo riferirvi di una pioggia che fa un baffo alla festa delle Acli. Per la voglia di uscire in queste ultime sere di estate piegata e per la ragione che alla festa, solitamente, come al fiume Mella una volta e davanti alla Pieve si è più forti e eguali, liberi e sempre popolari.
«Il voto di primavera?». Frati e gli altri lì intorno, tra cui Giuseppe Ramina presidente dell’Associazione Amici della Pieve lo spiegano con naturalezza: per noi Emilio, Emilio Del Bono. E` normale, cresciuto con noi, votiamo Pd, parte del centro». Insomma, vecchia sinistra Dc, non morta, rintracciabile sotto il livello ufficiale del pelo d’acqua e risalente la corrente, in modo solitario, così è alle Acli, più chiaramente nei circoli e nelle associazioni e per gruppi anche di due e di tre al bar. Centristi di sinistra e carbonari.
«Acli di pensionati soprattutto - continua Ramina - portare i giovani è una fatica bestiale». Ecco, le Acli sono giovani nel pensiero e nella presentazione di questa festa giovanissima e pensionati nella rappresentanza. Una volta al mese ci si riunisce in direttivo, 70 tessere, il Patronato una volta la settimana e gli anziani raggiunti a casa se non ce la fanno a venire qui.
Urago Mella, dentro e fuori quel portone di legno battezzato questa sera dalle Acli, rimane un quartiere-paese e l’idea aclista contribuisce a inorgoglire, a unire nel modo in cui vennero e si trovarono bene le persone delle Basse e delle valli, quando Marcolini li prese nell’anima e procurò un lavoro e una casa. Le Acli furono amiche di Marcolini e Marcolini amico delle Acli.
 

L’elettorato cattolico è un rebus per i partiti La base: «Coerenza e spinta morale»

Parlando in una piccola festa di quartiere delle Acli si capisce ciò che chiedono gli «operai della politica» ai partiti. L’elettorato cattolico è stato inseguito, corteggiato e inneggiato in questi anni. Almeno tanto quanto, da più parti, negli anni si è invocata una nuova generazione di cattolici in politica. Ma il vero problema è e resta l’elettorato, senza cui una classe politica non può essere democraticamente eletta, senza cui non si può verificare un trasferimento di sovranità attraverso un’elezione. E questo prescinde dalla legge elettorale, dalla definizione dei collegi, dagli sbarramenti. Senza poi dimenticare che non esiste una definizione certa per l’elettorato cattolico. E allora i partiti provano a cercare una sponda nell’associazionismo cattolico. Un’operazione alquanto difficile. I rappresentanti e più in generale i componenti delle associazioni cattoliche amano definirsi «operai della politica». Perchè credono nel senso di comunità e la loro azione è ispirata a valori per certi versi pre-politici, a concetti su cui poggia la politica dei partiti: da comunità a rappresentanza, da uguaglianza a dialogo. Attraverso questi parametri anche i semplici elettori misurano la classe politica. Non si tratta semplicemente di capacità di ascoltare le esigenze dei territori, come spesso si sente dire da parte di molti politici. L’elettorato cattolico chiede coerenza di comportamento personale e pubblico.
Attraverso la valorizzazione di concetti pre-politici gli elettori cattolici chiedono alla classe politica, in realtà, una spinta morale. Per usare le parole del politologo Hans Morgenthau, nella sua distinzione tra semplici politici e statisti: «Lo statista deve sapere se attraversare il Rubicone o meno, non può fare entrambe le cose. E se decide di attraversarlo allora deve saper portare con sè tutta la Nazione». Il riferimento è principalmente rivolto alla politica estera, ma il pensiero è esteso alla politica in generale. La spinta morale che anima l’azione di un politico, al di là del risultato immediato in termini elettoralistici o di consenso, è ciò che fa la differenza tra quello che l’elettorato cattolico definisce coerente e non.
Anche alla festa delle Acli di Urago Mella si capisce che questo in fondo è quello che si chiede a chi aspira ad ottenere il voto cattolico nell’urna elettorale. Ed è per questo che e` difficile conquistare il consenso cattolico: i partiti sono entrati in una fase post-eroica, fatta di comunicazione frenetica e di «libri dei sogni». Ma nessuno è in grado di staccare il biglietto della maggioranza. Nessuno è più in grado di agire secondo una spinta morale. Si rischia di restare intrappolati in un circolo vizioso: i partiti che parlano e gli elettori che chiedono altro.
Carlo Muzzi

Al tavolo, il prof. Pompilio e la sua famiglia di maestri
«Mia moglie ha insegnato a Urago Mella. Sono salito da Urbino nel 1946...»

Sotto una tenda, a un tavolo, stanno in tre. Lui ha un’età indefinibile, 70 anni, mille anni. Patriarca, profilo di bontà. Forse è Platone: grigio, testa alta, un velo di sorriso, uno sguardo che ti chiama. Lei una signora elegante, moglie evidente per il modo con cui si guardano e si scambiano delicatezze. Poi c’è lei, una collana vivace, la figlia. Loro tre sono la nostra storia aclista di ieri sera. Non hanno tessere acliste, una simpatia per un popolo e un paese che si chiama Urago Mella e si sarebbe potuto chiamare Urago Acli. «Gente seria, a posto, paese che ci ha accolto magnificamente».  E` il patriarca che parla. Si chiama Pompilio Cesaretti, professore e preside, classe 1924, venuto da Urbino perchè qui c’erano cattedre nel 1946 e là no. Venuto a Urago aclista insieme alla moglie Maria Teresa, maestra anche a Urago Mella e maestra è la figlia Rossella. Un tavolo di docenti alla prima festa delle Acli, una famiglia di maestri e professori, di estimatori delle Acli. Che modernità improvvisa questi tre sotto la prima pioggia! Sentite il racconto del prof. Pompilio Cesaretti: «Arrivai nel 1946 a Bagnolo. A piedi raggiunsi Manerbio. Un nebbione, un barbiere mi disse che Cignano di Offlaga era più in là. Piangevo e arrivai alle 6 di sera. Bussavo alle porte, niente. Mi aprì e mi ospitò per un anno, il parroco, grande personaggio, don Tomaso Tomasoni. Nel 1944, a Casazza ci dissero che era meglio cambiare aria. A piedi, in tanti giorni, raggiunsi Urbino. Mi nascosi per nove mesi nel Duomo, io e il figlio del sagrestano. Ci vedevamo la sera, nel grande paese del Duomo. Dormivamo su una panca. Una notte lo salvai dall’attacco di un pipistrello. Guardavo dal finestrone, gli americani non spuntavano mai». Usciamo dal portone; per un momento confondiamo la facciata della Pieve con il Duomo di Urbino. Pozioni miracolose di minestre acliste.    
zana

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