Le Acli bresciane in merito all’elezione del Consiglio dell’Ente di Area Vasta
Domenica 12 ottobre i 2596 consiglieri dei Comuni bresciani, saranno chiamati ad eleggere il Consiglio della cosiddetta nuova Provincia, che il Decreto Delrio chiama Ente di Area Vasta. Ci troviamo alla vigilia di un cambiamento del nostro assetto territoriale.
In un Paese come il nostro, in cui la resistenza al cambiamento è tutta da vincere e in cui i propositi di riforma si trascinano da anni con inconcludenza, la riforma delle Province potrebbe costituire in sé una buona notizia. Ma non possiamo non rilevare come la “nuova Provincia” nasca in un contesto di grande incertezza, secondo alcuni anche in ordine alla nuova legittimità costituzionale del decreto Delrio. Si tratta di incertezze che riguardano l’efficacia e l’efficienza della forma di governo prevista e sul raccordo con i Comuni, o ancora in merito al destino di molte delle competenze attualmente esercitate dalla Province (a chi finiranno? E i lavoratori dell’ente che destino avranno?). Temiamo che nei primi mesi – o anni – di vita si navigherà a vista, con sperimentazioni da un lato, resistenza al cambiamento dall’altro, e con un notevole rischio di confusione del quadro istituzionale complessivo. In questo senso sarà determinante la lucidità e saggezza del nuovo Presidente della Provincia, che dovrà essere in grado di affrontare questo compito in sinergia con tutti gli attori politici, istituzionali e sociali del territorio bresciano.
Ci chiediamo perché in tutta questa riflessione sugli enti della Repubblica, nessuno abbia pensato a riformare le Regioni, che sono state storicamente le protagoniste dell’esplosione del debito pubblico italiano e che si sono rese protagoniste di tanti episodi di corruzione e malgoverno. L’impressione è che manchi un progetto istituzionale chiaro, comprensibile e condiviso, e si rincorra solo l’obiettivo di ridurre le risorse pubbliche, forse inseguendo le pressioni di un’opinione pubblica esasperata da una cattiva politica. Certamente questa riforma avrebbe dovuto essere accompagnata anche dalle riforme degli altri enti locali – tra cui i comuni e il loro numero – e della Pubblica Amministrazione.
Intanto si è scelto un modello di ente non direttamente investito dalla legittimazione elettorale, che dovrà svolgere le proprie funzioni su base consensuale e collaborativa, non avendo l’autorità di compiere scelte politiche autonome rispetto all’indirizzo concordato dai Comuni rappresentati.
La sfida della riforma è perciò quella di valorizzare il dialogo intercomunale. In quest’ottica i veri protagonisti della riforma devono essere i Comuni, che dovranno esprimere la loro capacità di superare la logica di una contrapposizione politica con il livello provinciale. Dovranno essere gli stessi Comuni a dialogare tra di loro, anche superando le logiche di schieramento politico e i campanilismi, per trovare nell’organo provinciale il punto di sintesi di una visione di insieme. Il fatto che nelle ultime elezioni si sia insediata una classe politica amministrativa nuova, giovane e motivata, ci riempie di ottimismo rispetto alla capacità di cogliere questa sfida.
Non vogliamo entrare nel dibattito partitico. Non reputiamo uno scandalo una lista unitaria (visto che siamo in presenza di un ente di secondo livello), purché sia segno di una larghissima condivisione istituzionale in merito alle priorità e ai metodi con i quali procedere. Resta però l’impressione che una lista di questo tipo limiti gli spazi di una sana dialettica tra i partiti con culture politiche differenti, che è il sale della democrazia.